All’omicidio di Saman Abbas, la 18enne di origine pakistana scomparsa e poi trovata morta a Novellara, in provincia di Reggio Emilia, avrebbero partecipato tutti e 5 i familiari iscritti nel registro degli indagati: i genitori, i due cugini e lo zio Danish, sospettato di aver eseguito materialmente il delitto. Lo avrebbero riferito agli inquirenti due uomini di origine marocchina finiti nello stesso carcere dell’uomo, le cui versioni, comunque, sembrerebbero non combaciare del tutto.

Omicidio Saman Abbas, le nuove rivelazioni di due detenuti sul ruolo dello zio Danish e degli altri familiari

Sentiti dagli investigatori lo scorso settembre, i due detenuti saranno presto chiamati a testimoniare anche nel processo in corso per l’uccisione della giovane. Uno di loro ha riferito quanto gli avrebbe rivelato direttamente lo zio di Saman; il secondo, invece, ha detto di aver ricevuto le informazioni dal primo. Stando al loro racconto, tutti e 5 i familiari della ragazza avrebbero preso parte al delitto, anche la madre Nazia, attualmente latitante.

Sarebbe stato lo zio però ad ucciderla, spezzandole il collo. Secondo uno dei due detenuti, in quel frangente il padre, Shabbar, avrebbe tenuto la figlia ferma a pancia in giù, mentre fumava; l’altro invece sostiene che fosse stata la madre di Saman a bloccare la 18enne, mentre il padre guardava. Secondo lui, poco prima di morire Saman avrebbe riferito ai familiari di essere disponibile a tornare in Pakistan per sposare il cugino a cui era stata promessa. Forse aveva capito le loro intenzioni.

La ricostruzione del movente

Nel corso delle loro testimonianze, i due detenuti avrebbero anche parlato del possibile movente dell’omicidio. Danish avrebbe infatti riferito loro di un accordo economico – dal valore di circa 15mila euro – siglato tra il padre di Saman e il parente con cui la ragazza avrebbe dovuto unirsi in matrimonio. Matrimonio che lei però, aveva rifiutato.

Si era innamorata di un altro ragazzo e con lui avrebbe voluto costruirsi un futuro. Per questo, poco prima di cadere nella trappola dei suoi familiari, era scappata di casa: era tornata, convinta dalla madre, con la promessa che loro avrebbero finalmente accettato la sua relazione e non l’avrebbero costretta a sposare un altro.

A quel punto, secondo gli inquirenti, il piano per il suo omicidio era già stato escogitato: alcune telecamere di sorveglianza installate nei pressi del casolare di campagna in cui vivevano avevano ripreso i cinque imputati mentre, nelle ore precedenti al delitto, si preparavano ad accogliere la giovane, scavando addirittura la buca in cui poi sarebbe stata ritrovata senza vita.

Le dichiarazioni del padre Shabbar in aula

Estradato in Italia dal Pakistan, il padre della 18enne negli scorsi giorni era comparso per la prima volta in aula. E, attraverso il legale che lo difende, l’avvocato Simone Servillo, aveva detto di non sapere chi avesse ucciso la figlia e di aver avuto contatti con i familiari del ragazzo che frequentava solo per chiedere loro se il giovane avesse intenzioni serie.

Sembra che in realtà li avesse minacciati, facendogli sapere che Saman era già promessa a un altro e che, pertanto, non avrebbe mai potuto sposare lui. Negli scorsi mesi, quando si trovava ancora nel suo Paese d’origine, aveva anche sostenuto che fosse stato lo stesso Saquib a sequestrare e poi ad uccidere la 18enne.

Il ragazzo, costituitosi parte civile al processo per l’omicidio della fidanzata, continua a ripetere con convinzione che Shabbar si era sempre opposto alla loro relazione, così come il resto della famiglia. A causa del rifiuto del matrimonio combinato, dice, sarebbero arrivati a togliere la vita a Saman.

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