Per conoscere la data in cui si svolgerà il referendum sulla giustizia si dovrà attendere i primi giorni del prossimo anno. L'ultimo Consiglio dei ministri, riunitosi ieri, non ha infatti individuato la data della consultazione elettorale: alla forzatura istituzionale, il Governo ha preferito la prudenza.
L'intenzione di fissare la data del voto il 1 e 2 marzo, prospettata della maggioranza nelle ultime settimane, così da andare al voto il prima possibile e sfruttare il vento favorevole che sembra soffiare sulla consultazione, si è infatti scontrata con i dubbi del Quirinale che, dietro le quinte, ha sollevato più di un dubbio sull'opportunità di forzare tempi e procedure per il voto. Alla fine, il Governo ha scelto di non procedere con l'indicazione della data, evitando di aprire un nuovo terreno di scontro con il Capo dello Stato.
Per capire perché il Consiglio dei ministri di ieri non abbia indicato la data del referendum sulla giustizia – nonostante il tema fosse stato indicato per settimane all’ordine del giorno – occorre però fare un passo indietro. Anzitutto ricordando di cosa parliamo: in primavera, gli italiani saranno chiamati a votare per il referendum confermativo della riforma della giustizia, che prevede la separazione delle carriere dei magistrati, la riforma del Consiglio superiore della magistratura e l’istituzione di un’Alta corte di giustizia per i procedimenti disciplinari nei confronti dei magistrati.
La riforma entrerà in vigore se prevarrà il “sì”, sostenuto dal centrodestra, contro il “no” appoggiato da una parte dell’opposizione (Pd, M5S, Avs).
Il tema dell’indicazione della data del referendum è cruciale per entrambi gli schieramenti. La legge che disciplina la materia è la n. 352 del 25 maggio 1970.
Secondo la norma, il referendum “è indetto con decreto del Presidente della Repubblica, su deliberazione del Consiglio dei ministri, entro sessanta giorni dalla comunicazione dell’ordinanza che lo abbia ammesso” (in questo caso, lo scorso 18 novembre); la data della consultazione è poi “fissata in una domenica compresa tra il cinquantesimo e il settantesimo giorno successivo all’emanazione del decreto di indizione”.
Per quanto molto ravvicinata, la data del 1° marzo, auspicata dal governo per portare al voto il prima possibile e sfruttare il favore che i sondaggi sembrano accordare alla riforma, sarebbe stata dunque legittima. Il punto, sollevato dal Quirinale, è stato però un altro: l’indizione del voto già ieri avrebbe rotto una prassi consolidata dal 2001, che consente, in queste consultazioni, la raccolta delle firme a tutte le parti.
Se il referendum ammesso è quello frutto della raccolta firme dei parlamentari di maggioranza – schierati per il sì – il campo dell’opposizione orientato sul no sta appoggiando una raccolta firme promossa da 15 cittadini per depositare una propria richiesta di referendum. Al momento, l’iniziativa ha già superato le 110mila firme e si pone l’obiettivo, entro l’ultima data utile – il 30 gennaio – di arrivare a 500mila sottoscrizioni, nel tentativo di incidere sul quadro politico della consultazione.
Se il governo avesse indetto la data del referendum già ieri, avrebbe dunque ostacolato questa possibilità, interrompendo una prassi che dal 2001 è sempre stata ammessa. Per questo motivo il Quirinale, nei giorni scorsi, ha probabilmente esercitato la propria moral suasion sul Governo, suggerendo di attendere.
Oltre alla forzatura istituzionale rispetto alla prassi, infatti, fissando il 1° marzo come data del referendum il governo si sarebbe esposto al rischio, in caso di successo della raccolta firme in itinere, di dover affrontare i ricorsi dei Comitati per il no. Il nodo è anche tecnico: qualora la Cassazione dovesse accogliere la richiesta attualmente in corso, il governo si sarebbe trovato esposto a criticità organizzative, comprese quelle legate alla predisposizione e alla stampa delle schede.
Ora che il blitz della maggioranza di indire il referendum sulla giustizia il 1° marzo, così da andare al voto il prima possibile, evitare la politicizzazione del voto e sfruttare sondaggi favorevoli, è sfumato, la data più plausibile per la consultazione sembra essere quella del 22 e 23 marzo. Le parti schierate per il “no”, di contro, chiedono di fissare il voto ad aprile, così da guadagnare tempo. Che la consultazione possa essere rinviata fino ad aprile, tuttavia, non appare oggi particolarmente probabile.