Il referendum sulla giustizia rappresenterà un momento cruciale per il sistema giudiziario italiano. Ma anche per il mondo della politica.
La riforma, approvata dal Parlamento senza i due terzi richiesti per evitare la consultazione popolare, vedrà l'ultima curva prima di entrare in vigore tra marzo e aprile 2026 con il referendum confermativo.
Ma, ad oggi, i sondaggi che dicono? Chi è in vantaggio?
Stando alla Super media di YouTrend pubblicata poco fa, vale a dire la media ponderata di tutti i sondaggi nazionali fatti finora sul referendum costituzionale sul tema della riforma Nordio della Giustizia, l'affluenza stimata sarà del 62%.
E il fronte del sì è in netto vantaggio: mediamente, infatti, viene stimato al 56,7% mentre il no non va oltre il 43,3%. La distanza tra le due fazioni, quindi, è di ben 13 punti.
La riforma introduce la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, modificando l'articolo 111 della Costituzione.
Ma non solo: prevede anche lo sdoppiamento del Consiglio Superiore della Magistratura con sorteggio per alcuni componenti al fine di ridurre l'influenza politica delle correnti e migliorare l'efficienza giudiziaria.
La Corte di Cassazione ha definito il quesito ufficiale il 18 novembre 2025, confermando quattro richieste da maggioranza e opposizione.
La Cassazione si è pronunciata a novembre, fissando il voto nella prima metà del 2026 (probabilmente il 15 marzo), rispettando i termini perentori.
Non serve quorum: vince la maggioranza semplice dei votanti. La raccolta firme non è necessaria grazie alle richieste parlamentari (80 deputati o 41 senatori).
Centrodestra (Fdi, Lega, Fi) e Azione spingono per il Sì, vedendo la separazione come garanzia d'indipendenza.
Le opposizioni, dal loro canto, temono il depotenziamento dei Pm, con quest'ultimi sotto la sfera d'influenza dell'esecutivo, e una nuova politicizzazione dei Csm.
Approvata, la riforma ridisegnerebbe la magistratura, ispirata a modelli europei dove già da tempo magistrati giudicanti e inquirenti seguono carriere diverse.
I critici invocano un 2016 bis, l'anno in cui fu bocciata la grande riforma costituzionale del governo Renzi.