L’intensificarsi dei movimenti navali cinesi nell’Asia orientale, unito alle crescenti tensioni diplomatiche con Taiwan e Giappone, sta ridisegnando gli equilibri strategici dell’Indo-Pacifico. L’insieme di questi sviluppi riflette un momento di forte tensione geopolitica, in cui le principali potenze regionali si confrontano per il controllo di aree strategiche vitali.
La Cina ha aumentato la concentrazione di navi della marina e della guardia costiera nelle acque dell'Asia orientale. Lo ha riportato Reuters il 4 dicembre. Secondo quanto riferito, sulla base di quattro fonti e di rapporti di intelligence esaminati dall’agenzia, in un certo momento sarebbero state coinvolte oltre 100 imbarcazioni.
Quattro funzionari della sicurezza regionale hanno dichiarato che le navi cinesi si sono radunate in un’area che si estende dal Mar Giallo meridionale, attraverso il Mar Cinese Orientale, fino al conteso Mar Cinese Meridionale, raggiungendo anche il Pacifico.
Sebbene novembre e dicembre siano tradizionalmente mesi caratterizzati da esercitazioni militari intensive da parte cinese, l’Esercito Popolare di Liberazione non ha annunciato alcuna manovra su larga scala.
A seguito delle rivelazioni, Taiwan e Giappone hanno espresso forte preoccupazione per le attività militari di Pechino nella regione e hanno dichiarato di monitorare da vicino la situazione. Pechino, dal canto suo, non ha né confermato né smentito i movimenti delle proprie forze navali.
Il movimento militare nell’Indo-Pacifico e la serie di esercitazioni attribuite alla Cina hanno attirato particolare attenzione anche per via del recente scontro diplomatico con il Giappone. Il primo ministro giapponese, Sanae Takaichi, ha dichiarato a novembre che un eventuale attacco cinese a Taiwan potrebbe provocare una risposta militare da parte di Tokyo.
Nel frattempo, il presidente cinese, Xi Jinping, ha avuto una conversazione telefonica con il presidente statunitense, Donald Trump, durante la quale ha ribadito che Taiwan non è negoziabile per la Cina. Pechino considera infatti l’isola, governata democraticamente, come parte del proprio territorio.
Pechino ha infatti espresso indignazione per il recente annuncio del presidente taiwanese Lai Ching-te, che ha deciso di destinare ulteriori 40 miliardi di dollari alla spesa per la difesa.
Secondo vari analisti, la strategia cinese appare calibrata: da un lato aumenta la pressione sul Giappone, dall’altro tenta di neutralizzare o ammorbidire la posizione degli Stati Uniti, come dimostrato dal colloquio tra Xi e Trump, in cui la questione di Taiwan è stata inserita in un quadro storico legato alla Seconda guerra mondiale.
Gli Stati Uniti restano da anni il principale garante della sicurezza di Taiwan e il primo fornitore di armi dell’isola.
L’amministrazione Trump ha definito la propria linea in un documento ufficiale, la nuova “Strategia per la sicurezza nazionale”, pubblicata il 5 dicembre, in un momento in cui gli equilibri nell’Indo-Pacifico risultano particolarmente tesi.
Nel documento, Washington indica come obiettivo prioritario quello di evitare un conflitto nello Stretto di Taiwan, puntando a preservare un vantaggio militare significativo.
La strategia sottolinea inoltre la necessità di rafforzare la capacità degli Stati Uniti e dei loro alleati di contrastare qualsiasi tentativo di prendere il controllo dell’isola o di alterare l’equilibrio delle forze in modo tale da rendere insostenibile la sua difesa.