“Mettere in discussione la validità di interventi come isolamento o utilizzo di mascherine significa tornare indietro di 300 anni.”
Il professore Massimo Andreoni primario di infettivologia al Policlinico di Tor Vergato negli anni dell’emergenza Covid-19 ha concluso così il suo intervento davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia in Italia.
L’esperto infettivologo, direttore scientifico della Società Italiana Malattie Infettive, ha descritto le prime settimane dell’emergenza e analizzato le ragioni che hanno portato l’allora governo Conte II ad adottare misure come il lockdown o l’obbligo delle mascherine.
Per Andreoni si è trattato di scelte inevitabili dettate dalla scienza e dalla gravità della situazione.
Ha raccontato il professore Andreoni, descrivendo il clima di impotenza del primo lockdown.
Le prime settimane di emergenza sono state un “bollettino di guerra”.
Andreoni ha dichiarato che si viveva una situazione di impotenza.
E’ quando si è aperto il capitolo lockdown che l’audizione è entrata nel vivo. Ai commissari che gli chiedevano un giudizio sulla validità della decisione di mettere l’intero Paese in isolamento con il lockdown, Andreoni ha dichiarato che in quel momento era una scelta inevitabile.
Nelle prime settimane di pandemia il tasso di letalità del Sars Cov-2 era intorno al 2.3%, un dato - come evidenziato dal professore – sovrastimato dal momento che era riferito solo alle diagnosi di persone sintomatiche, poiché i test diagnostici venivano fatti solo a chi mostrava i sintomi della malattia, mentre non venivano tracciati gli asintomatici.
In quella situazione, ha ribadito Andreoni, l’unica cosa che si poteva fare per arginare la malattia era ricorrere all’isolamento.
Sotto la lente di ingrandimento della commissione Covid anche la gestione dell’emergenza nelle primissime settimane di pandemia. Le scelte fatte in quei giorni, infatti, potrebbero aver irrimediabilmente condizionato i mesi e gli anni successivi.
Sono stati commessi errori?
Nella sua ricostruzione Andreoni ha chiarito che in quelle prime settimane si viveva una “situazione di impotenza” perché le persone stavano male e morivano e non si sapeva come curarle.
Incertezza e impreparazione che ha portato ad assumere decisioni poi rivelatesi inutili se non addirittura dannose.
Una di queste è stata la contingentazione dei test diagnostici che ha impedito di diagnosticare la malattia nei soggetti che non mostravano sintomi. In una prima fase i test venivano fatti solo ai pazienti con sintomi gravi, lasciando fuori quelli che poi si sono rivelati i veri vettori dell’infezione, ovvero, gli asintomatici.
Quando poi la situazione è sfuggita di mano allora si è dovuto isolare tutti.
Si è però proceduto con tempestività con misure rivelatesi inutili come ad esempio la chiusura dei voli dalla Cina.
Insomma, appare sempre più evidente che quanto vissuto dal Paese nei due anni della pandemia è stato frutto di una serie di scelte sbagliate o discutibili fatte nelle prime delicatissime fasi del contagio.