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Inchiesta Bergamo Covid, Cartabellotta:”Non mi piace la caccia alle streghe”



Inchiesta Bergamo Covid, Cartabellotta:”Non mi piace la caccia alle streghe”

Inchiesta Bergamo Covid, Cartabellotta:”Non mi piace la caccia alle streghe”. L’inchiesta voluta dai familiari delle vittime della Val Seriana, fa il suo corso. L’accertamento della verità giudiziaria, funzionale a una ricostruzione storica dei fatti che caratterizzarono le prime settimane della pandemia Covid. L’emergenza e le scelte da prendere velocemente. Le possibili negligenze, i ritardi  e il piano pandemico. Tutto al vaglio delle indagini della magistratura.
 

Inchiesta Bergamo Covid, Cartabellotta:”Non mi piace la caccia alle streghe”

 
Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, è intervenuto ai microfoni della trasmissione “L’Italia s’è desta” su Radio Cusano Campus. La sua Fondazione, da anni si occupa di sanità pubblica. Lo scoppio della pandemia ha messo la Gimbe nella condizione di mettersi al servizio della cittadinanza, attraverso i suoi studi e soprattutto i dati relativi ai contagi. Cartabellotta, però, pur essendo stato protagonista di quel momento drammatico, non vuole puntare il dito nei confronti di chi in questo momento è sotto indagine della Procura di Bergamo. Il medico siciliano ritine infatti che “è difficile per chiunque di noi giudicare fatti avvenuti in un periodo emergenziale, quando nessuno sapeva nulla su questa pandemia. E’ difficile farlo oggi a mente fredda, senza l’emotività che contraddistingueva anche chi prendeva le decisioni in quel momento. Questa è un’inchiesta giudiziaria, ma sta nascendo anche una commissione parlamentare d’inchiesta. Non entro nel merito degli aspetti legati all’inchiesta.
 

Inchiesta Bergamo Covid: “Imparare dagli errori del passato”

La sanità nel 2020 mostra durante la pandemia, la sua fragilità organizzativa, l’assenza di risorse, ma riesce grazie alla dedizione e alla capacità del personale sanitario, ad assolvere ai suoi compiti. Per quello che é possibile. Perché non tutto é stato possibile. Per questo Cartabellotta ritiene che “la cosa più importante è quanto riusciamo a imparare dagli errori del passato per migliorare la nostra sanità e poter fronteggiare un’eventuale altra pandemia. Il revisionismo storico e la caccia alle streghe mi piacciono poco. Il problema è la zona grigia che si crea tra competenze statali e competenze regionali e proprio in questa zona grigia potrebbero essersi verificate le principali criticità. In nessuna regione e in nessuna struttura sanitaria sono state fatte esercitazioni per gestire una pandemia. Chi lavora in pronto soccorsa sa che può arrivare il paziente con l’infarto, con l’ictus, non può arrivare il paziente arrivato sbarcato dalla Luna con la navicella spaziale. Noi con la pandemia ci siamo trovati di fronte a qualcosa che nessuno sapeva come gestire, quindi ci sono volute un po’ di settimane per capirlo, poi ovviamente c’è tutta la questione dell’impreparazione e della mancanza degli strumenti adatti“.
 

Il ruolo fondamentale dei dati

 Il protagonismo dei dati in tempo di Covid é stato evidente. la pubblicazione quotidiana misurava drammaticamente in termini di ricoveri e morti l’andamento della pandemia. La Fondazione Gimbe ha rappresentato su questo fronte una sorta di controcanto. Spesso Cartabellotta criticava l’operato del Governo, invocando misure diverse. I dati rappresentavano e rappresentano l’unica certezza per i cittadini e i ricercatori. Il Presidente di Gimbe lo sottolinea in diretta affermando di aver condotto una battaglia sulla trasparenza dei dati, perché i dati devono sempre essere messi a disposizione dei ricercatori. E’ evidente che la cultura del dato sanitario in Italia non è mai decollato, spesso i dati non sono pubblici, c’è sempre una grande fatica per reperirli. I dati dovrebbero essere patrimonio di tutti, in quanto tutti noi paghiamo la loro raccolta. I rapporti col Ministero della Salute erano buoni, io mandavo i dati al ministro Speranza. In quel periodo io sollecitavo molto la chiusura del Paese, perché il mio timore era che se la pandemia fosse scoppiata al sud, con la sanità disastrata che c’era, sarebbe successo il finimondo”