Secondo quanto riportato in un’intervista al Corriere della Sera, realizzata prima che il giudice Michel Claise vietasse a Eva Kaili – al centro del Qatargate e da poco di nuovo in libertà – di rilasciare dichiarazioni alla stampa, il “vero scandalo” sarebbe quello degli eurodeputati spiati dal Belgio. Kaili è stata arrestata in Belgio nel dicembre del 2022, con l’accusa di essere parte di un presunto sistema di corruzione al Parlamento Europeo. Il giro di corruzione era legato a Qatar e Marocco e aveva a capo Antonio Panzeri. Durante la retata del 9 dicembre Kaili ha chiesto al padre di portare via da casa una valigia contenente 700 mila euro in contanti che, secondo le ricostruzioni dei magistrati, erano soldi incassati con il marito Francesco Giorgi. Giorgi e Kaili si erano fin da subito difesi, attribuendo la proprietà dei soldi all’ex parlamentare europeo Antonio Panzeri.

Qatargate, Kaili alla stampa: “Il vero scandalo sono gli eurodeputati spiati dai servizi segreti del Belgio”

Kaili ha evidenziato come dopo tutti questi mesi di indagini non sia uscito nulla di nuovo. Secondo l’europarlamentare “Il Parlamento ha protezioni che nessun lobbista può abbattere”. Ci tiene però a sollevare una “cosa inquietante”, facendo riferimento al controllo esercitato sulle attività della commissione Pegasus, che indaga sulle intercettazioni di leader europei raccolte illegalmente dal Marocco:

Dal fascicolo giudiziario i miei avvocati hanno scoperto che i servizi segreti belgi avrebbero messo sotto osservazione le attività dei membri della commissione speciale Pegasus. Il fatto che i membri eletti del Parlamento siano spiati dai servizi segreti dovrebbe sollevare maggiori preoccupazioni sullo stato di salute della nostra democrazia europea. Penso sia questo il vero scandalo.

Kaili è poi tornata a parlare delle dinamiche del suo arresto e della sua detenzione. In relazione all’arresto del marito e al sequestro dell’auto, racconta che inizialmente ha subito pensato a un incidente stradale. Successivamente, ha avuto la notizia dell’arresto di Panzieri: “Sono andata in panico“, afferma l’europarlamentare. Kaili era a conoscenza della presenza valigetta di Panzieri nell’ufficio del marito; solo aprendola, secondo quanto racconta, ha saputo dei soldi.

Non riuscivo a capire cosa fosse successo, ma volevo allontanare da casa quel denaro per ridarlo a Panzeri, colui che credevo ne fosse il proprietario.

Kaili sa “che Panzeri riceveva donazioni“, ma le commissioni parlamentari di cui ha fatto parte e il suo lavoro legislativo non sono mai state legate con l’ambito dell’ex membro del Parlamento europeo. Panzieri era molto vicino a Giorgi, dal momento che lo ha “assunto quando era solo uno studente di venti anni“: “Francesco aveva un senso di gratitudine e di obbligo morale molto profondo nei suoi confronti“.

Kaili su Panzieri: “Penso che il suo pentimento e le confessioni siano state ottenute sotto minaccia”

L’europarlamentare reputa che le confessioni e il pentimento di Panzieri siano state ottenute sotto minaccia, anche perché il messaggio era chiaro: “se fai i nomi, ti offriamo un accordo e liberiamo tua moglie e tua figlia dalla prigione“. Kaili ha aspramente criticato questi metodi, definendoli “non degni di uno stato di diritto” e confessando che sono stati gli stessi usati con lei. L’europarlamentare riporta l’offerta che si è sentita rivolgere: “Se avessi fatto nomi importanti sarei tornata da mia figlia, ma avrei dovuto mentire“. Durante il primo interrogatorio e prima di pentirsi, Panzieri ha fatto i nomi di due membri del parlamento di lingua italiana e di queste due persone solo una è stata arrestata, mentre l’altra parrebbe non essere stata coinvolta nelle indagini, secondo quanto riportato da Kaili.

Kaili ha dichiarato che non è mai stata rispettata la presunzione di innocenza. Ha infine espresso un senso di rammarico: “nessuno degli eurodeputati mi ha cercato per ascoltare la mia versione“. L’europarlamentare ha poi rivolto parole di gratitudine verso Deborah Bergamini (PdI), deputata italiana che è andata a trovarla in prigione, denunciando i “metodi inumani” utilizzati nelle indagini in questione.