La Prima Sezione della Cassazione ha deciso di accogliere la richiesta della difesa di Massimo Bossetti, l’uomo condannato all’ergastolo per l’omicidio di Yara Gambirasio, di accedere ai reperti confiscati per svolgere nuove indagini difensive, annullando l’ordinanza con cui, nel novembre del 2022, la Corte d’Assise di Bergamo – ora chiamata a un nuovo esame – aveva rigettato il ricorso.

Yara Gambirasio Cassazione: accolta la richiesta della difesa di Bossetti

La Corte d’Assise di Bergamo dovrà esaminare di nuovo la richiesta. Ma, in base alla decisione emessa in Camera di Consiglio, alla difesa dovrà essere consentito l’accesso ai reperti – gli abiti indossati dalla vittima al momento dell’omicidio e gli oltre 50 campioni di Dna che hanno permesso agli inquirenti di incastrare Bossetti –, con le modalità e nei limiti previsti dalla legge per fare in modo che ne sia preservata l’integrità. Al termine della ricognizione, i legali dell’uomo potranno anche chiedere una revisione del processo a carico del loro assistito. Se così fosse, bisognerebbe valutare l’ipotesi di nuovi accertamenti tecnici.

Siamo molto contenti: ora iniziamo il percorso per dimostrare che quel Dna non è di Massimo Bossetti,

ha dichiarato l’avvocato Claudio Salvagni all’Adnkronos dopo aver appreso la notizia. Bossetti è stato condannato all’ergastolo in via definitiva nel 2018, al termine di un processo lungo e intricato apertosi nel 2015. Più volte, da detenuto, ha dichiarato di essere innocente, scagliandosi contro gli inquirenti per la cattiva gestione delle indagini. Il riferimento è, in particolare, alla conservazione delle provette contenenti le tracce biologiche recuperate sul corpo della vittima, spostate, ad un certo punto, dall’ospedale San Raffaele di Milano, dove erano abitualmente conservate, all’ufficio Corpi di reato di Bergamo, rompendo la catena del freddo e provocandone il deterioramento. Cosa che non avrebbe permesso ulteriori accertamenti dopo quelli che hanno incastrato Bossetti. Accertamenti che, secondo lui, avrebbero potuto scagionarlo.

La ricostruzione del caso

Bossetti fu riconosciuto come l’assassino di Yara proprio grazie agli esami del Dna. Finì in manette il 16 giugno del 2014, a quasi quattro anni dai fatti, dopo che il suo Dna risultò sovrapponibile con quello di “Ignoto 1”, come era stato definito l’uomo le cui tracce erano state rilevate sui vestiti della vittima al momento del ritrovamento del corpo, avvenuto nel novembre del 2011. Fu un aeromodellista a scoprirlo, in un campo a Chignolo d’Isola, a circa 10 chilometri di distanza da Brembate di Sopra, dove Yara Gambirasio era scomparsa, all’età di quindici anni, nel novembre del 2010. Si era recata presso il centro sportivo del suo paese, dove si allenava in ginnastica ritmica, e non aveva più fatto ritorno.

I primi sospetti si erano concentrati sugli avventori di un cantiere edile vicino a Mapello, dove il suo telefono cellulare risultava agganciato poco dopo la scomparsa. A finire nei guai era stato il 22enne di origini marocchine Mohammed Fikri, poi risultato innocente. La svolta arrivò con la scoperta del cadavere della ragazzina. Il medico legale che si occupò dell’autopsia ipotizzò che la 15enne fosse morta per ipotermia in un momento successivo all’aggressione. Dalle tracce biologiche rinvenute sul suo corpo si arrivò a “Ignoto 1” e da “Ignoto 1”, attraverso migliaia di accertamenti scientifici, si arrivò a Bossetti.

Per gli inquirenti che lavorarono al caso sulla sue responsabilità nel delitto non ci sono dubbi. Eppure la difesa dell’uomo, che fin dall’inizio si è dichiarato innocente, contestano da anni le prove a suo carico. L’accesso ai reperti richiesto più volte dai legali che lo sostengono – finora sempre rigettato – permetterà loro di effettuare una ricognizione, nell’ambito di nuove indagini difensive. Poi si valuterà una revisione del processo. Almeno, è quello che spera la difesa.