Femminicidio di Agnosine, prosegue il processo a carico di Paolo Vecchia, il 54enne di Sabbio Chiese reo confesso dell’omicidio della moglie Giuseppina Di Luca, accoltellata il 13 settembre del 2021. Nel corso dell’ultima udienza, l’uomo ha ammesso nuovamente le sue responsabilità nell’omicidio, rinnegando però l’aggravante della premeditazione. Commosso, in aula ha ripercorso nei dettagli il giorno del delitto, spiegando anche le motivazioni che lo avrebbero portato a compiere l’estremo gesto. Lei voleva separarsi, dice; dopo l’ennesima lite, lui non ci avrebbe visto più, colpendola con un coltello che aveva portato con sé “solo per spaventarla” e spingerla a riavvicinarsi a lui.

Femminicidio di Agnosine: la ricostruzione del delitto fatta dall’imputato in aula

I fatti risalgono all’alba del 13 settembre del 2021. L’uomo, all’epoca 52enne, aveva aspettato la moglie – con cui era in fase di separazione – nell’androne dell’abitazione in cui lei si era trasferita dopo la fine della loro relazione, ad Agnosine, in provincia di Brescia. Quando lei era uscita, l’aveva colpita ripetutamente con un coltello, lasciandola a terra in fin di vita. Dopo essersi lavato e cambiato, si era consegnato ai carabinieri, confessando il terribile delitto. Non prima, però, di svegliare una delle sue figlie, quella con cui conviveva, dicendole:

Come ti avevo promesso, ho ucciso tua madre.

La moglie si era allontanata all’inizio di agosto, portando con sé la figlia maggiore. Una decisione che lui aveva fatto fatica ad accettare, essendone ancora innamorato. Per questo, ha raccontato nel corso dell’ultima udienza del processo a suo carico, si era recato a casa sua: per un chiarimento. Sperava ancora di riuscire a convicerla a tornare con lui e a rimettere insieme i pezzi della loro storia. Quando era arrivato e aveva cercato un confronto, la donna, spaventata, l’avrebbe però spinto, cercando di darsi alla fuga. Lui allora l’aveva inseguita.

Mi ha graffiato e colpito con la borsetta, mi ha detto che non mi voleva più, che avrei dovuto lasciare in pace sia lei che le nostre figlie,

ha raccontato l’imputato. Gli avrebbe anche detto di aver intrapreso un’altra relazione. Una notizia che l’avrebbe colto di sorpresa, spingendolo al gesto estremo. A quel punto, infatti, avrebbe preso uno dei due coltelli che aveva portato con sé “per spaventarla” e l’avrebbe colpita ripetutamente. Poi, resosi conto di quanto accaduto, avrebbe anche provato a rianimarla, dice, ma invano. Non avrebbe però chiamato i soccorsi. Avvertiti da alcuni residenti, al loro arrivo non avrebbero potuto far altro che constatarne il decesso.

La questione della premeditazione

Secondo l’accusa, l’uomo avrebbe premeditato il delitto. A dimostrarlo sarebbe non solo il fatto che avesse portato con sé delle armi, un coltello e un pugnale, ma anche che, nei giorni precedenti all’omicidio, si fosse recato più volte nei dintorni dell’abitazione della donna, forse per un sopralluogo. Una versione dei fatti che lui ha rinnegato, sostenendo di voler solo parlare con lei. Visibilmente commosso, ha detto di essersi pentito e di voler pagare per ciò che ha fatto. È ciò che sperano anche quanti, al processo, rappresentano la vittima.

Tra loro ci sarebbe anche il nuovo compagno di Giuseppina. Ascoltato poco prima dell’imputato, davanti agli inquirenti ha raccontato tutt’altra storia.

Aveva paura, temeva per sé stessa e le figlie. Me lo disse subito. Le consigliai di rivolgersi alle forze dell’ordine e di allontanarsi, ma mi raccontò che in luglio era già andata dai carabinieri per dire che il clima dentro casa era teso e che si sarebbe trasferita. L’ho sentita l’ultima volta il 12 settembre: era terrorizzata, la luce era saltata due volte,

ha detto. Giusy non aveva denunciato l’accaduto per paura di subìre ulteriori ritorsioni, di far arrabbiare suo marito ancora di più. Alla fine per lei non ci sarebbe stato comunque niente da fare.