Ha riempito per mesi le pagine di cronaca di tutti i giornali, la terribile storia dell’omicidio di Pamela Mastropietro, la 18enne uccisa e fatta a pezzi a Macerata nel 2018. Per la sua morte è stato condannato all’ergastolo il 35enne di origini nigeriane Innocent Oseghale. Benché si sia sempre dichiarato innocente, sostenendo che la giovane sia deceduta a causa di un’overdose da eroina, per gli inquirenti non ci sono dubbi: l’uomo avrebbe abusato di lei, prima di colpirla fatalmente e cercare di disfarsi del suo cadavere.

Pamela Mastropietro storia: la scomparsa e il ritrovamento del corpo

29 gennaio 2018. Pamela ha appena 18 anni quando si allontana dalla comunità per tossicodipendenti presso cui è in cura, a Macerata, facendo perdere le proprie tracce. Non è la prima volta che lo fa: già in passato era sfuggita ai controlli per uscire a procurarsi una dose. Nel vortice della droga è finita da qualche anno, a causa del suo disturbo borderline della personalità, che non le permette di controllarsi. Questa volta però, scappando ha portato con sé degli oggetti, due grandi valigie, una rossa e una blu. Al loro interno, due giorni dopo la denuncia di scomparsa presentata dai genitori, Alessandra Verni e Stefano Mastropietro, saranno rinvenuti i resti del suo corpo, in un fossato di campagna a pochi chilometri dalla città.

Il processo a carico di Innocent Oseghale, fino alla condanna all’ergastolo

Innocent Oseghale
Innocent Oseghale (foto di Ansa).

Dalle indagini emerge fin da subito il coinvolgimento di un uomo, Innocent Oseghale. Ad incastrarlo sono i filmati delle videocamere di sorveglianza installate nei pressi del luogo del ritrovamento del corpo, che lo riprendono mentre segue la giovane vittima. I due si sarebbero incontrati nei giardinetti di via Diaz di Macerata, dove la ragazza si era recata – con l’aiuto di un uomo di Mogliano e di un tassista, entrambi accusati di violenza sessuale – per acquistare della droga. Oseghale avrebbe approfittato delle sue condizioni di difficoltà per attirarla nel suo appartamento, in via Spalato.

Qui avrebbe abusato di lei e l’avrebbe poi colpita con un coltello, fino a provocarne la morte. Poi, come dimostrato dall’esame autoptico effettuato dal medico legale incaricato, avrebbe cercato di disfarsi del cadavere smembrandolo e lavandolo con la candeggina, al fine di eliminare ogni traccia, ma senza riuscirci. Il suo Dna sarebbe stato riscontrato sotto le unghie di Pamela, incastrandolo. Dopo un anno di indagini, si avvia finalmente il processo a suo carico. È il 13 febbraio del 2019 e a Oseghale vengono contestati i reati di omicidio e violenza sessuale pluriaggravati. Per la difesa è innocente: la ragazza, sostengono i suoi avvocati, sarebbe morta a causa di un’overdose da eroina.

Fondamentale è la testimonianza del compagno di cella del 35enne, l’ex boss della ‘ndrangheta Vincenzo Marino, poi diventato collaboratore di giustizia, davanti a cui Oseghale ammette le proprie responsabilità. Per questo, alla fine del dibattimento, viene condannato all’ergastolo.

Le ultime dichiarazioni dal carcere

Nonostante la condanna, Oseghale continua a sostenere di essere innocente. Lo ha fatto anche qualche giorno fa, nell’ambito di alcune dichiarazioni rilasciate dal carcere all’Adnkronos.

Non ho ucciso la povera Pamela e nemmeno l’ho violentata. Purtroppo le ricostruzioni fatte durante il processo non hanno tenuto conto delle tante prove a mia discolpa e in parte sono sicuro di pagare questa situazione per pregiudizi personali su di me legati al fatto che io sia un immigrato di colore,

ha detto, sostenendo di essere addolorato per le sorti della 18enne. La mamma di Pamela non gli crede e neanche i giudici. “Se davvero è pentito faccia i nomi dei responsabili”, aveva dichiarato la donna, che a causa sua non potrà mai più riabbracciare sua figlia.