Che cos’è il Classico? È possibile darne una definizione? Ci sono luoghi che appaiono come fenomeni e metafore del classico? Ne parliamo con il professor Enrico Ferri, docente di Filosofia del Diritto all’Università Niccolò Cusano.

Arpino, o le metafore del classico. Intervista al Prof. Enrico Ferri

Enrico Ferri (Unicusano)

Professor Ferri in un suo recente studio pubblicato negli USA dalla Nova Publishers di NYC , The Myth of Western Civilization,  per dare una rappresentazione del classico ha portato come esempio l’acropoli di Arpino. Ma procediamo con ordine. Che cos’è il classico, è possibile definirlo?

“Nello studio che lei ha ricordato, che ha per sottotitolo “L’Occidente come categoria ideologica e mito politico”, affronto anche la questione dell’identificazione ricorrente fra il mondo liberal-democratico, l’ “Occidente”, e la classicità. Metto in evidenza come con classicità, nella cultura dell’Europa moderna, spesso si stabilisce un’artificiale connessione fra cultura greca, romana, cristiana e democratica. Per un altro verso si ignora che tutte le realtà appena ricordate sono culture di sintesi, nelle quali fra l’altro è fondamentale la componente asiatica. Basti pensare che parte essenziale della grecità, l’hellenikon, si sviluppa nel contesto ionico dell’Asia Minore ed è rappresentata da personaggi come Talete, Erodoto ed Ippocrate. Per non parlare del Cristianesimo nato in Palestina da matrici giudaiche”.   

In altri termini, lei sostiene che la nostra categoria di classicità è unilaterale e misconosce il ruolo avuto da altre civiltà e culture. Ad esempio, lei dedica più di una pagina del suo studio al fondamentale ruolo della civiltà fenicia e punica, fino ai nostri giorni quasi del tutto misconosciuto.

I Fenici furono grandi navigatori, geografi, astronomi, idearono la trireme, erano capaci di navigare di notte seguendo l’Orsa Minore, circumnavigarono l’Africa dal Mar Rosso, arrivarono e commerciarono nei Mari del Nord, secondo Plinio inventarono il commercio e crearono la prima forma di scrittura alfabetica, senza considerare la maestria nella pesca del tonno, nell’artigianato e nella lavorazione dei metalli. I Fenici d’Africa, i Cartaginesi, furono maestri nella navigazione, persino in grado di ideare navi da combattimento prefabbricate e componibili, per non parlare nella loro abilità nelle sfruttare le miniere dei loro possedimenti iberici e la maestria nell’agricoltura descritta da storici greci come Diodoro e dagli stessi romani che tradussero in latino trattati di agronomia cartaginesi”.  

 Però lei ricorda che si è dovuti arrivare agli anni Ottanta del Novecento per avere una prima organica mostra dedicata ai Fenici e ai nostri giorni per una dedicata a Cartagine.

“La prima fu organizzata dalla Fondazione Grassi a Venezia nel 1988 e curata da Sabatino Moscati, la seconda nel 2020 a Roma, al Colosseo. Nel catalogo della prima Moscati ricordava che fino agli anni Sessanta del Novecento nelle nostre Università non esistevano dipartimenti di studi fenici”.

Fatte queste premesse, possiamo dare una definizione di “Classico” o dobbiamo semplicemente dire che è una ricostruzione ideologica e la cosiddetta classicità, come la cultura greca e romana, è solo una sintesi di culture e realtà diverse.

“Le due cose non si escludono. Pensiamo alla ricorrente formulazione di classicità come sintesi e manifestazione della cultura greca, romana e cristiana. Una ricostruzione senza alcun senso. I Romani scoprirono l’arte greca, ci ricorda Tito Livio, quando dopo aver assediato e distrutto Siracusa ne saccheggiarono le opere d’arte, portate a Roma come bottino di guerra. Catherine Nixey ha recentemente ricordato un fatto evidente, che con il cristianesimo si ebbe la più grande distruzione di opere d’arte che la storia ricordi. La bellezza per il Cristianesimo era sinonimo di sensualità, peccato e dannazione; persino l’igiene fisica apparve disdicevole, “il battesimo lava per sempre”, in quanto indice di cura ed attenzione per la corporeità, componente frivola ed inessenziale. Tertulliano arriva a sostenere che l’uso di un tratto di rossetto fa delle giovani delle prostitute, in quanto come le seconde con la cosmesi vorrebbero suscitare il desiderio”.

Rappresentando Arpino, la sua città d’origine, come un esempio di cultura classica a quale nozione di classico si riferisce? Perché Arpino potrebbe essere vista come una metafora della classicità? In altri termini come si può definire il “Classico”?

“Anche nel linguaggio corrente, quando diciamo di una persona che “ha classe” vogliamo intendere che ha valore, un suo stile (“Le style est l’homme”). La nozione risale a Aristofane di Bisanzio, direttore della biblioteca di Alessandria che nel terzo secolo A.C. stilò un elenco dei testi che meritavano di essere tramandati, i libri di prima classe, per il loro oggettivo valore. La stessa nozione di tradizione, del resto, rinvia a qualcosa che deve essere tradito, cioè consegnato per il suo valore e la sua importanza”.

Ma qual è il criterio per stabilire la classicità di un’opera, in campo artistico, letterario, musicale, architettonico, ecc.?

“Civiltà diverse hanno “memorie” e criteri di classificazione a volte assai distanti. Diogene Laertio nelle Vite di Filosofi ricorda quasi settanta opere di Democrito. Ma l’atomismo per i cristiani era una bestemmia. Di Democrito non ci sono rimasti che sparuti frammenti. Ciò nonostante non possiamo negare che la durata di un’opera nel tempo sia un indice di valore, come pure l’attenzione che riesce a suscitare e gli stimoli alla riflessione che produce”.

Può spiegare in che senso lei definisce Arpino una metafora della classicità? In particolare, nel suo libro lei riporta un’immagine dell’Acropoli di Arpino, borgo noto come Civita Vecchia.

“Nel senso della durata e del valore, i due criteri a cui facevo prima riferimento. Kant diceva che lo spazio e il tempo sono le due categorie che ci permettono di pensare e definire l’esistenza umana. L’acropoli è uno spazio pieno di tempo, cioè di eventi e presenze con forti valenze”.

Che significa “spazio pieno di tempo”?

“La foto che riporto nel mio libro è un significativo spaccato dell’Acropoli di Arpino. Riprende uno spazio non più esteso di duecento metri, ma ricolmo di una storia plurimillenaria. Arpino è una città fondata secondo il Mito da Saturno, il Crono dei Greci. Spodestato dal figlio Zeus, trovò rifugio nel Lazio, che nell’etimologia latina sta ad indicare una posizione “laterale”, nascosta. Saturno fondò altre città come Alatri e Atina, tutte caratterizzate dalle mura ciclopiche, cioè edificate dai Ciclopi. Quello che nell’antichità è conosciuto come il regno o l’età di Saturno, cioè di floridità e benessere. Le mura ciclopiche dell’acropoli di Arpino sono estese per più di un km. con una porta ogivale senza muratura da collante, unica al mondo. Sulle mura sono stati sovrapposti una serie di torrioni in pietra con aperture per i cannoni, in epoca rinascimentale e alla fine delle mura c’è una torre dei Piccolomini del XII° secolo.  Al fianco della porta antica c’è una Chiesa del Settecento, la SS Trinità. In breve, nello spazio di duecento metri abbiamo 2500 anni di storia, rappresentati da edifici e strutture architettoniche diverse che però si integrano perfettamente anche esteticamente, grazie al prevalente uso della pietra, materiale dei Ciclopi e degli Dèi”.

Quindi, lei sostiene che Arpino mostra a livello storico, nell’arte e nell’architettura, un esempio significativo della nostra storia e cultura classica?

“Certo, soprattutto se consideriamo che il patrimonio artistico e culturale arpinate non si esaurisce nell’acropoli. Vorrei ricordare alcuni tratti di strade romane presenti nel centro storico e nella vicina campagna o pregevoli affreschi del Cavalier d’Arpino, a partire da quelli della Chiesa maggiore di San Michele. Arpino non solo mostra una significativa convivenza di stili, architetture e culture diverse, ma anche che le diverse civiltà, in quanto espressioni autentiche delle dinamiche umane, non sono alternative ma simmetriche e complementari: possono integrarsi e convivere“.

In questi giorni ad Arpino si compete per il nuovo sindaco. Da alcuni si sostiene che solo un arpinate potrebbe conoscere e valorizzare Arpino ed il suo patrimonio. Qual’ è la sua opinione?

“Plutarco nelle Vite parallele ricorda che Teseo e Romolo, fondatori di Atene e Roma, concessero diritto d’asilo a tutti gli stranieri che avessero voluto unirsi a loro. I re di Roma furono etruschi e non pochi imperatori, come Caracalla e Settimio Severo, africani. Arpino è stata città pelasgica, sannita, volsca, latina e tant’altro. L’appartenenza è il risultato di due fattori: la scelta e l’accoglienza, attraverso il vincolo della simpatia e del reciproco interesse. L’appartenenza è condivisione ed impegno per il benessere comune”. 

A Vittorio Sgarbi, Arpinas