La Corte d’Asisse di Milano ha ritenuto Alessia Pifferi in grado di affrontare il processo a suo carico per l’omicidio della figlia. Niente perizia psichiatrica, dunque, nei suoi confronti: la 37enne, in carcere dallo scorso luglio per aver lasciato morire di stenti la piccola Diana, dovrà rispondere dell’accusa di omicidio volontario aggravato. Oggi, 8 maggio, insieme al legale che la rappresenta, l’avvocata Alessia Pontenani, ha preso parte alla seconda udienza.

Alessia Pifferi, perizia psichiatrica rifiutata: la 37enne potrà affrontare il processo

Dopo il rinvio dello scorso 27 marzo, ha preso il via oggi, presso la Corte d’Assise di Milano, la seconda udienza del processo ad Alessia Pifferi, la 37enne accusata di aver lasciato morire di stenti la figlia di appena un anno e mezzo, abbandonandola sola in casa per sei giorni. La donna si trova in carcere dallo scorso luglio e, davanti ai giudici, dovrà rispondere dell’accusa di omicidio volontario aggravato. La sua difesa, rappresentata dall’avvocata Alessia Pontenani – nominata legale di parte da qualche settimana -, aveva però chiesto che le fosse concessa una perizia psichiatrica per valutare se fosse “capace di stare in giudizio”. Perizia che, nelle scorse ore, è stata rifiutata.

Secondo il giudice Ilio Mannucci Pacini, la donna è infatti in grado di affrontare il processo, avendo mostrato, fino ad ora, lucidità e consapevolezza. Per questo motivo i pm Francesco De Tommasi e Rosaria Stagnaro avevano chiesto il rigetto dell’istanza.

Dall’atto medico prodotto dalla difesa non emerge alcun elemento che possa far dubitare della piena capacità di Pifferi di partecipare al processo come evidentemente accaduto fino all’odierna udienza, senza che mai fosse stata prospettata tale incapacità,

ha sottolineato il Presidente della Corte. E ha poi ribadito che

l’unico elemento è un ipotetico e possibile deficit cognitivo che neanche se fosse accertato potrebbe costituire elemento atto ad escludere la capacità di stare nel processo.

Niente dubbi, dunque, sul suo rinvio a giudizio. Al massimo, nel corso del dibattimento, la difesa potrà avanzare l’ipotesi che la donna fosse incapace di intendere e di volere al momento dei fatti. Cosa che, per ora, sembrerebbe non aver fatto. Per l’omicidio della piccola Diana, morta di fame e sete dopo essere stata lasciata in un lettino da campeggio con un solo biberon di latte per circa sei giorni, la 37enne rischia una condanna all’ergastolo. Per ora, come riportato da Repubblica, la sua vita all’interno del carcere sarebbe tutt’altro che facile. Secondo la sua avvocata, sarebbe oggetto di insulti da parte delle altre detenute e, per questo, sarebbe costretta a vivere in isolamento.

La zia della piccola Diana: “È stato giusto non concedere la perizia”

Si è trovata d’accordo con la decisione del giudice anche la zia della piccola Diana, Viviana Pifferi, sorella dell’imputata. La donna, costituitasi parte civile al processo insieme alla madre, intercettata all’uscita del Tribunale ha dichiarato, facendo riferimento alla 37enne:

Non ha mai chiesto scusa, nemmeno nelle lettere che ha inviato a me e a mia madre, e non le risponderò mai fino a che non chiederà almeno scusa, io sono contro mia sorella ed è la parte giusta, perché quella che è morta è mia nipote.

Al termine della prima udienza, lo scorso marzo, aveva parlato della necessità di condannare la donna.

Per una settimana l’ha abbandonata, non può essere un raptus di dieci minuti,

ha ribadito ora, aggiungendo di non riuscire più a riconoscere la sorella. In aula, come l’ultima volta, ha indossato una maglia con una foto della piccola Diana. Lo farà, forse, anche in occasione delle prossime udienze, già fissate per il 16 e il 23 maggio, il 5 e il 27 giugno, il 3 e l’11 luglio.