Riforma pensioni, dopo lo stop agli aumenti delle minime e a nuove misure per incrementare le uscite delle lavoratrici con opzione donna, l’intenzione del governo guidato da Giorgia Meloni è quello di riprendere i tavoli in autunno, in vista dell’adozione della legge di Bilancio 2024. Le tre misure saranno riviste anche alla luce dei primi riscontri dell’Inps sia sui pensionamenti anticipati che sugli importi delle pensioni minime. Su opzione donna, intatti, si fa sentire il calo delle uscite del 2023 rispetto a quelle dello stesso periodo del 2022: appena 151 lavoratrici sono riuscite ad agganciare la misura di uscita anticipata nel primo trimestre dell’anno.

Pensioni opzione donna, quota 103 e aumento minime: ultime novità dopo il decreto ‘Lavoro’

Sulla riforma delle pensioni ci sarà da lavorare in autunno. Fino a una settimana prima dell’adozione del decreto “Lavoro” dello scorso 1° maggio, si erano fatte ipotesi di aumentare le minime e di allargare la platea delle lavoratrici in uscita con opzione donna. Le ipotesi erano caldeggiate soprattutto da Forza Italia e dalla Lega, ma alla fine al governo hanno deciso di puntare gli oltre 3 miliardi di scostamento di bilancio al taglio del cuneo fiscale per incrementare i salari dei lavoratori dipendenti. Il discorso non è comunque chiuso, dal momento che verrà ripreso nel prossimo autunno in sede di varo della legge di Bilancio 2024.

Sull’opzione donna, in particolare, la ministra del Lavoro, Marina Elvira Calderone aveva sollecitato un intervento di aggiustamento dei rigidi requisiti introdotti dalla Manovra 2023 che hanno portato a un numero irrisorio di uscite. Stando ai dati dell’Inps, appena 151 lavoratrici sono riuscite ad agganciare la misura nel primo trimestre di quest’anno, rispetto alle 4.185 dei primi tre mesi del 2022.

Pensioni opzione donna, dopo i numeri fallimentari del 2023 si attende la riforma e aumento minime

Nella prossima legge di Bilancio si attende una revisione dei requisiti dell’opzione donna che, probabilmente, dovrebbe riportare la misura ai parametri di uscita validi fino al 31 dicembre 2022. Ci sarà da attendere perché il governo non sembrerebbe intenzionato a intervenire con decreti di aggiustamento durante tutto quest’anno. Dopo i primi dati dell’Inps, si era ipotizzato di trovare degli adeguamenti per permettere a circa 10.000 lavoratrici in più, rispetto a quelle attese quest’anno, di uscire a 58 e 59 anni di età.

Peraltro, le risorse stanziate dal governo per il decreto “Lavoro” avrebbero dovuto assicurare qualche aumento ai pensionati ultra 75enni che prendono la minima. Attualmente, per effetto delle indicizzazioni all’inflazione del 2022 degli assegni mensili, questa platea di pensionati prende 599,82 euro, anche in forza di un ulteriore incremento introdotto nella Manovra 2022. L’aumento delle pensioni minime era caldeggiato in questo decreto soprattutto da Forza Italia. Aumenti ci saranno, in ogni modo, nella legge di Bilancio 2024. Già nell’approvazione del Documento di economia e finanza (Def), il governo si è impegnato per iscritto a trovare risorse per l’aumento delle pensioni minime e anche delle pensioni d’invalidità, anche queste ultime uscite dal decreto “Lavoro” a mani vuote.

Nuova quota 103 nella riforma previdenziale di fine 2023

Se l’opzione donna, che la prossima legge di Bilancio riporterà ai requisiti ante-2023, e le pensioni minime hanno un percorso tracciato, la questione del dopo quota 103 è quella che presenta i maggiori punti interrogativi. Dopo le ultime dichiarazioni del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, sull'”incompatibilità tra la riforma delle pensioni e la situazione demografica italiana”, può ritenersi chiusa, per ora, l’idea della quota 41 per tutti. Ma una misura ponte dovrà essere introdotta (o replicata) nella prossima Manovra di governo. L’ipotesi che sta prendendo sempre più piede, soprattutto per il limitato impatto sulla spesa previdenziale e sui conti pubblici, è quella della conferma di quota 103 anche nel 2024, eventualmente rivista. La decisione, in ogni modo, verrà presa solo in autunno, probabilmente quando i tavoli dei sindacati al ministero del Lavoro saranno già ripresi dopo l’estate.