Inserendo nella barra di ricerca l’indirizzo chat.openai.com qualsiasi utente dall’Italia visualizzerà lo stesso messaggio dopo aver premuto invio:

Il proprietario del sito potrebbe aver impostato restrizioni che impediscono agli utenti di accedere

Messaggio che appare in finestra sul sito di ChatGpt

Ebbene sì, OpenAi ha deciso di sospendere il servizio ChatGpt in Italia dopo che il Garante della privacy ha bloccato il suo utilizzo a causa delle falle normative sull’accesso e la raccolta dei dati personali.

Il software d’intelligenza artificiale non è dunque più accessibile nel nostro Paese, sebbene i più esperti e smanettoni del mondo tech abbiano già la soluzione pronta per aggirare il sistema di geolocalizzazione.

Italia primo Paese ad aver bloccato l’utilizzo di ChatGpt

Ieri l’organizzazione open source americana ha commentato così il blocco di ChatGpt in Italia:

OpenAi lavora attivamente per ridurre la raccolta di dati personali nell’apprendimento dei nostri sistemi di intelligenza artificiale come ChatGpt, perché vogliamo che la nostra intelligenza artificiale impari a conoscere il mondo e non le persone

Estratto dal comunicato di OpenAi, l’azienda proprietaria di ChatGpt

Qualche riga successiva si legge che “dal nostro punto di vista riteniamo corretto e necessario introdurre una regolamentazione dell’intelligenza artificiale“. Insomma, massima collaborazione con l’Autorità italiana per superare un’impasse che ha già fatto il giro del mondo.

Il nostro Paese diventa così il primo Stato al mondo ad aver bannato ChatGpt, se si escludono le nazioni in cui il servizio non viene offerto (Cina, Iran, Russia e Corea del Nord). Sicuramente, l’approccio avuto dal Garante della privacy stupisce per tempestività rispetto per esempio a quanto accaduto sui social network. Migliaia di video pubblicati in rete mostrano come l’algoritmo sia in grado di sostituire l’uomo in tantissimi campi della quotidianità (in particolare nel ramo istruzione e produttività), con una precisione decisamente significativa. Ed è proprio questa capillarità, questa integrazione così invasiva ad aver messo in allarme esperti e scienziati: di per sé, l’intelligenza artificiale non è una novità in senso assoluto.

Tutto ciò chiaramente apre degli interrogativi leciti su cosa accadrà ai servizi concorrenti, ossia Bing (Microsoft) e Bard (Google). Il primo è di fatto uno stretto parente di ChatGpt, poiché il software è stato di fatto integrato al suo interno con l’obiettivo di trasferirlo in futuro nella suite di Office. La creazione di Big G, invece, risulta più in affanno e ciò potrebbe non essere un male: il servizio risulta deludente per la scarsa predittività, eppure questo ritardo potrebbe garantire quegli affinamenti ideali per l’utenza finale.