Ennesimo rinvio, questa mattina, dell’udienza in programma nel carcere di Islamabad, in Pakistan, per l’estradizione di Shabbar Abbas, accusato, in concorso con altri quattro parenti, dell’omicidio, dell’occultamento del cadavere e del sequestro della figlia, Saman, la 18enne scomparsa a Novellara alla fine del 2021 e trovata morta lo scorso novembre. L’uomo resta quindi detenuto nella sua città d’origine: due giorni fa il magistrato della struttura carceraria aveva rigettato l’istanza di rilascio su cauzione presentata dai suoi legali.

Shabbar Abbas estradizione: ennesimo rinvio dell’udienza a Islamabad

La decisione di un nuovo rinvio dell’udienza sarebbe stata presa su istanza del nuovo difensore dell’uomo, che avrebbe chiesto un ulteriore termine per predisporre le proprie controdeduzioni rispetto alle osservazioni formulate dal pubblico ministero a sostegno della richiesta di estradizione da parte del Governo italiano. La prossima udienza è stata quindi fissata per il 4 aprile. Intanto l’uomo, detenuto in Pakistan, dove è stato fermato subito dopo i fatti, a differenza di quanto aveva deciso in un primo momento – come ha fatto ora sapere il suo avvocato – parteciperà al processo a suo carico in Italia in videoconferenza.

Dai magistrati italiani è accusato, in concorso con altri quattro parenti – lo zio e i cugini della vittima e sua madre, Nazia Shaheen, ancora latitante -, dell’omicidio, dell’occultamento del cadavere e del sequestro della figlia Saman, la 18enne trovata morta, dopo mesi di ricerche, nei pressi di un capannone abbandonato non molto distante dall’abitazione in cui viveva con la sua famiglia a Novellara. Stando a quanto ricostruito finora, i suoi familiari avrebbero deciso di toglierle la vita per aver rifiutato un matrimonio combinato. A permettere di ritrovare il cadavere della giovane era stato lo zio, Danish Hasnain, sospettato di essere l’esecutore materiale del delitto.

Ma l’uomo, fin dall’inizio, si è dichiarato innocente, affibiando la responsabilità di quanto accaduto ai cugini di Saman. Nel corso di uno degli ultimi interrogatori, effettuato dagli inquirenti su richiesta dell’imputato stesso, avrebbe specificato ulteriormente la versione dei fatti della notte in cui, a suo dire, avrebbe solo aiutato i figli a seppellire il cadavere. “Io penso che mi abbiano chiamato perché volevano uccidermi per il mio buon rapporto con Saman, io ero d’accordo sulla sua relazione con Saqib. Poi non so perché non mi hanno ucciso”, ha dichiarato il 32enne. ““Mi hanno detto che c’era stato un litigio e che ci era scappato il morto”, ha spiegato.

Il padre accusa il fidanzato di Saman della sua morte

Shabbar Abbas, invece, ha più volte puntato il dito contro il fidanzato della figlia, Ayub Saquib: secondo lui sarebbe stato il ragazzo a sequestrare e ad uccidere Saman. Il giovane si è costituito parte civile al processo e, attraverso il legale che lo difende, l’avvocato Cladio Felleti, ha fatto sapere: “Se mai otterremo dei soldi, li devolveremo ad un’unica causa: creare e aprire una ’Fondazione Saman’ che possa tutelare le vittime dei matrimoni forzati”. Arrivato in Italia come richiedente asilo, prima di conoscere Saman Saquib viveva in provincia di Frosinone. Ora si è stabilito in Piemonte, dove lavora come aiuto cuoco, e ha ottenuto il permesso di soggiorno per cinque anni. Il suo sogno era quello di sposare la 18enne, che però era promessa in sposa ad un cugino in patria. Lei era fuggita, denunciandoli e rifugiandosi in una comunità protetta. Tornata a casa, era stata ammazzata. “Saquib ha ancora la paura negli occhi”, sostiene il suo avvocato. Per questo, finora, non si sarebbe mai recato in aula: “Lui non vuole trovarsi davanti quei mostri”. Il riferimento è allo zio e ai cugini di Saman. L’accusa attende che tra loro compaiano finalmente anche gli altri due imputati.