Lettera Frank Matano Francesco Pio. Una lettera che vuole essere a tutti gli effetti una denuncia per la morte di Francesco Pio, morto a 18 anni a causa di un proiettile vagante. Mortificato e vicinissimo alla vittima, l’attore comico dedica un lungo pensiero al giovane ragazzo ucciso.

Lettera Frank Matano Francesco Pio: morto per un brutto errore

Una morte drammatica, quella di Francesco Pio Maimone, ucciso a 18 anni, per mano di un suo omonimo: un proiettile lo colpisce, a causa di un errore, di una scarpa calpestata e, poi, sporcata. Si tratta di un litigio futile, che non vale la condanna cui è stato sottoposto il giovane, il quale si è trovato accidentalmente nella traiettoria di un colpo non indirizzato a lui. C’era stata una rissa, infatti, e il giovane si era allontanato, non appena si era reso conto che era scoppiato uno scontro. Una lotta tra gruppi opposti, tra nemici di rioni differenti.

Lettera di Frank Matano: un momento di riflessione

Frank Matano si avvicina alla vicenda che ha coinvolto la vittima parlando dei tempi dell’adolescenza in cui ha vissuto in provincia di Caserta. Ha fatto diversi sforzi, viaggi e sacrifici per non trovarsi continuamente in situazioni spiacevoli e che avrebbero potuto metterlo in pericolo. Apre il suo cuore direttamente sui social, dedicando una lunga lettera su Instagram proprio a Francesco Pio, spendendo parole importanti che fanno riflettere sull’imposizione e uso della violenza.

Le sue dichiarazioni arrivano profonde, taglienti e non lasciano spazio a fraintendimenti, allusioni o “ghirigori di parole” come lui stesso li identifica. Frank Matano vuole parlare all’animo dei suoi follower con tono di denuncia, facendo chiarezza ed esponendo le sue stesse esperienze.

Il post si presenta con un carosello di foto in tono serio: sfondo nero e scritte bianche, ben visibili, fino alla fine che riporta ad un’immagine del ragazzo.

Scopriamo insieme che cosa ha detto Frank Matano.

Le parole di Frank Matano su Instagram: che cosa ha detto

Prende parola quindi Frank Matano e lo fa rivolgendosi a tutti i follower e i visitatori che arrivano sul suo profilo Instagram:

“Sono nato e cresciuto nella provincia di Caserta. Più di una volta ho assistito o vissuto in prima persona alla malevolenza gratuita di determinati ragazzi che hanno vissuto in determinate situazioni che li hanno portati ad essere in un determinato modo e questo ghirigoro inutile di parole si chiama camorra. Lo Stato ha scelto di lasciare migliaia di ragazzi a loro stessi. Educati da persone che nella vita non hanno avuto la possibilità di autodeterminarsi, questi ragazzi sono cresciuti pensando di essere invisibili, pensando che l’unica cosa che si possa possedere sia l’onore. Non c’è altro.

E se nessuno ti ha insegnato ad aprire la propria coscienza a te stesso, l’unico modo che hai di essere rispettato è la violenza. È una dinamica sociale fatta di potere applicato in poco meno di 20 km quadrati. Oltre il proprio paese non c’è altro. C’è un muro e ogni mattone di questo muro invalicabile è fatto di un pezzo della propria inadeguatezza. Ho fatto le superiori a Sessa Aurunca. Prendevo il pullman da Carinola fino a Sessa ogni mattina. Quasi ogni mattina cercavo di non incontrare un ragazzo che non era un camorrista ma voleva esserlo. Era amico di ‘figli di’ ma doveva dimostrare qualcosa di più al suo gruppo perché nelle sue vene scorreva sangue anonimo, insopportabile per un anonimo. Nessuno dà il giusto valore alla propria anonimia fin quando non la perde completamente, uccidendo qualcuno per esempio. La quiete di non essere nessuno turba dolorosamente i nostri cuori soprattutto in questo mondo di porno-ego.

Questo mio coetaneo aveva scelto da maturo quindicenne di imporsi sugli altri. Quando scendevo dal pullman ci fermavamo mezzoretta in villa a Sessa prima di entrare in classe (2004). Ho fatto il linguistico. I miei compagni di classe con cui era in villa prima di entrare ogni mattina erano poco meno di dieci donne. Ho vissuto il matriarcato nella mia adolescenza. Ero al linguistico. Dicevo. Stavo nel mio gruppetto, in villa. Questo ragazzo mi si avvicina e mi chiama ‘o suggettò’ che vuol dire ‘soggettone’ che vuole dire ‘tu che non ti imponi con la forza qui avrai problemi’. Non risposi alle provocazioni. Si avvicina sempre di più, siamo faccia a faccia, mi minaccia senza motivo, senza motivo, nessun motivo, zero motivi, non un motivo. Mi dà una testata secca sulla bocca. Così a caso. Senza motivo. Nessun motivo. Zero motivi. Non un motivo. Per ridere. Per fare la camorra. Era la sua personalissima fellatio ai cattivi.

Mi mortifica. Non dico niente. E mi porto il non dire niente per tutto l’anno scolastico. Mi porto il non dire niente fino a domani.

Non dire niente è un altro modo di morire.

Non dire niente per non morire di fronte a un bar con un vodka lemon annacquato in mano. Non reagire a una umiliazione. Non rispondere alla violenza richiede una perversa autocommiserazione e non si capisce dove finisce quella e dove inizia l’istinto di sopravvivenza. Questo messaggio è diretto ai ragazzi che vogliono imporre se stessi con la violenza. Non c’è nulla che vi fermerà. Neanche un morto. Neanche mille, di cui già non sappiamo più nulla. Fra un mese Francesco Pio sarà uno di quelli. Niente di più. E chi l’ha ucciso sarà uno di quello. Niente di più. Nessuno protagonista. Torna l’anonimia. Resta il nulla. Resta il contrario della speranza. Restano solo dei ragazzi a cui non è permesso di vivere dignitosamente. Riposa in pace Francesco Pio. Riposa in pace fratello mio campano”.