Agenzia delle entrate truffa Genova. Un cassiere all’Agenzia delle Entrate ha rubato i rimborsi dei contribuenti fino ad arrivare ad appropriarsi della somma di 230 mila euro, almeno questo suppongono gli inquirenti, sia il totale dei soldi sottratti secondo le prime indagini svolte e le operazioni che al momento evidenziano delle gravi anomalie. E’ successo a Genova, protagonista un dipendente dell’agenzia delle entrate. Gli investigatori della guardia di finanza, dopo varie segnalazioni, hanno anche dei filmati del cassiere che viene ripreso mentre prendeva i soldi contanti e se li infilava nelle tasche. Per la procura “la peculiare professionalità e scaltrezza delle condotte poste in essere dal dipendente infedele, così come sono emerse dalle indagini svolte, connotano necessariamente la valutazione in merito alla sua pericolosità, giudizio che deve necessariamente tener conto dell’ambiente lavorativo in cui si trova ad essere inserito e della permanente diretta disponibilità del denaro pubblico che costituisce l’oggetto delle azioni illecite compiute“. La Guardia di finanza ha eseguito nei confronti del dipendente, una ordinanza di custodia ai domiciliari per essersi reso colpevole di peculato, accesso abusivo al sistema informatico, falsità ideologica e materiale. Durante la perquisizione in casa sono state trovate decine di migliaia di euro in banconote (circa 67 mila euro), oltre a monete preziose. Le operazioni contestate sono 420.

Agenzia delle entrate di Genova, truffa di un cassiere che si appropria di 230 mila euro

L’uomo, secondo quanto risultato dalle indagini, si appropriava dei soldi facendo sottoscrivere ai contribuenti il modello di rimborso senza però corrispondere le somme richieste, poi aggiornava gli applicativi del sistema informatico con dati falsi oppure simulava la corresponsione dei rimborsi in favore dei contribuenti dopo essersi introdotto abusivamente dentro gli applicativi del sistema dell’Agenzia. Non solo, dopo essersi procurato codice fiscale e documenti di identità, compilava i moduli di rimborso senza che vi fosse una istanza delle persone interessate. Una serie di operazioni studiate nei minimi particolari, per cui aveva un modus operandi preciso ed evidentemente a cui aveva lavorato e soprattutto che riteneva infallibile mentre evidentemente lui si riteneva intoccabile e irrintracciabile. Gli inquirenti parlano di una somma sottratta che si aggira sui 230 mila euro, ma non escludono che possa essere superiore. L’uomo probabilmente aveva sbagliato i calcoli del suo sistema, non pensando che – viste le vittime che aveva deciso di colpire – ci sarebbero stati dei controlli su movimenti e operazioni che avevano delle discrepanze. Perché spesso le operazioni erano fatte a nome di “contribuenti deceduti, cessati, falliti o trasferiti all’estero anteriormente alla data del rimborso o compensazione“. Tanto che: “Dalla verifica della documentazione l’ufficio Internal Audit (consiste in un processo di verifica sistematico e documentato, condotto da personale esperto, che i sistemi informativi di un’azienda o organizzazione siano conformi a quanto previsto da norme, regolamenti o politiche interne) – scrive il gip – ha infatti rilevato che 13 operazioni risultano prive di documentazione e due operazioni risultano ad alto rischio di frode poiché eseguite in data successiva alla morte dei contribuenti”. Ecco quindi uno dei buchi nel sistema studiato e utilizzato dal dipendente per appropriarsi delle somme. Tutto sarebbe emerso perché l’Agenzia aveva avviato un’approfondita attività di internal audit riscontrando numerose e gravi irregolarità nella gestione dei rimborsi ai contribuenti poste in essere dal proprio dipendente. Le considerazioni sono state condivise dal Gip, secondo cui “l’indagato si è rivelato persona in grado di manipolare con particolare efficacia e scaltrezza gli strumenti e le competenze di gestione dei sistemi informatici che costituiscono il proprio bagaglio professionale, impiegandolo per la consumazione di condotte delittuose”. Attraverso delle intercettazioni video poi i è stato possibile monitorare una serie di operazioni di rimborso simulate, concluse dall’indagato con il prelievo di denaro contante.