Steven Spielberg è il grande deluso dopo gli Oscar 2023 e la sua carriera dimostra come Hollywood non sia generosa con il talento e il successo, se questo non segue gli schemi dettati dall’industria.

Steven Spielberg sconfitto agli Oscar 2023, l’ennesimo schiaffo in faccia dell’Academy

THE FABELMANS trama anteprima
Una scena di The Fabelmans.

Steven Spielberg non ce l’ha fatta nemmeno stavolta e gli Oscar 2023 lo hanno visto tornare a casa a mani vuote, nonostante l’etichetta di ‘gran favorito’ della vigilia, grazie alle sette nomination del suo The Fabelmans.
Il suo film sembrava avere tutte le carte in regola per garantirgli almeno qualche riconoscimento ‘di peso’. Una storia fortemente autobiografica, che è anche una lettera d’amore appassionata ma mai compiaciuta o ridondante nei confronti del cinema, realizzata con la maturità e l’abilità di quello che si può definire senza retorica o facili superlativi uno dei più grandi registi viventi. Eppure l’Academy lo ha totalmente ignorato, preferendogli Everything Everywhere All At Once, senza concedere al regista di Cincinnati neppure il meritato – senza nulla togliere a Daniel Kwan e Daniel Scheinert – Oscar alla Miglior regia in segno di apprezzamento per la sua carriera. Una carriera che ha visto Spielberg raggiungere l’impressionante primato di regista candidato almeno una volta per sei decenni consecutivi (dagli anni ’70 a oggi).
Il trattamento riservatogli quest’anno dall’Academy non deve, tuttavia, sorprendere perché, a fronte delle nove candidature ricevute come Miglior regista a partire dal 1978, Spielberg è riuscito solo due volte a portarsi a casa la statuetta, nel 1994 per Schindler’s List e nel 1999 per Salvate il Soldato Ryan.

  • Oscar 2023: candidato al Miglior film, Miglior regia e miglior sceneggiatura originale per The Fabelmans;
  • Oscar 2022: candidato a Miglior film e Miglior regia per West Side Story (sconfitto, rispettivamente, da CODA e da Jane Campion);
  • Oscar 2018: candidato a Miglior film per The Post (vinse The Shape of Water di Guillermo del Toro);
  • Oscar 2016: candidato a Miglior film per Il Ponte delle Spie (vinse Il Caso Spotlight di Tom McCarthy);
  • Oscar 2013: candidato a Miglior film e regia per Lincoln (vinsero Argo e Ang Lee per Vita di Pi);
  • Oscar 2012: candidato a Miglior film per War Horse (vinse The Artist di Michel Hazanavicius);
  • Oscar 2006: candidato a Miglior film e regia per Munich (vinsero Crash di Paul Haggis e Ang Lee per I Segreti di Brokeback Mountain);
  • Oscar 1999: vincitore come Miglior regista per Salvate il Soldato Ryan e candidato a miglior film (vinse Shakespeare in love);
  • Oscar 1994: Miglior film e Miglior regia per Schindler’s List;
  • Oscar 1986: 11 candidature per Il colore Viola, tra cui Miglior film. Li perse tutti…
  • Oscar 1983: candidato a Miglior film e regia per per E.T. – L’Extraterrestre (vinse Gandhi e il suo regista Richard Attenborough);
  • Oscar 1982: candidato a Miglior film e regia per I predatori dell’Arca Perduta (vinsero Momenti di Gloria e Warren Beatty per la regia del film Reds);
  • Oscar 1978: candidato a Miglior film e regia per Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo (vinse entrambi Woody Allen con Io e Annie).

Steven Spielberg e il rapporto di amore-odio con Hollywood

Una scena di E.T. – L’extraterrestre (1982).

Di certo, Steven Spielberg non rappresenta un caso isolato nella storia degli Academy Awards. Altri grandi nomi della Settima Arte sono stati del tutto ignorati dagli Oscar, come Stanley Kubrick, che ottenne ben 9 nomination ma vinse solo un Oscar ‘tecnico’ agli effetti speciali per 2001 Odissea nello spazio nel 1969, e nessuno come regista, o Alfred Hitchcock, che ottenne solo un riconoscimento alla carriera nel 1968. Qualcuno dirà che si tratta di registi dotati di una visione del cinema indipendente e mai condizionata dalle logiche di Hollywood, mentre Spielberg è una sorta di ‘figliol prodigo’ dell’industria, ma non è del tutto vero.
Sicuramente, i film del regista di Cincinnati hanno saputo integrarsi con le regole dello Studio System, rappresentando una sicurezza in termini commerciali per Hollywood, consentendogli di diventare il primo director la cui filmografia ha superato i 10 miliardi di dollari di incasso complessivi. Tuttavia, Spielberg ha sempre mantenuto un controllo autoriale sulle proprie decisioni e sulle proprie opere, andando spesso a scontrarsi con quelle che erano le aspettative di Hollywood nei suoi confronti. Ad esempio, nel 1985 quando, dopo il successo di blockbuster veri e propri come I Predatori dell’Arca Perduta o E.T. – L’Extraterrestre, decise di dirigere Il Colore Viola, dramma storico liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Alice Walker, che affronta i temi del razzismo e della violenza sulle donne dalla prospettiva di queste ultime, rappresentate dalla protagonista Whoopi Goldberg. Oppure, in tempi più recenti, quando attaccò senza mezzi termini le piattaforme streaming e HBO Max per il trattamento ingiusto riservato alle opere dei suoi colleghi durante la pandemia.
Un atteggiamento che l’industria del cinema statunitense mal sopporta, come dimostra anche il trattamento riservato per anni a Leonardo DiCaprio, il cui desiderio di confrontarsi con il cinema d’autore, smarcandosi dal ruolo di sex symbol cui sembrava destinato, gli inimicò l’Academy fino al 2016, anno in cui fu premiato come Miglior attore protagonista per la sua performance in Revenant – Redivivo di Alejandro González Iñárritu.

Steven Spielberg e il fastidio dell’industria del cinema USA verso la New Hollywood

Ma, forse, oltre alle ragioni elencate, c’è un motivo più profondo che può intervenire a spiegare l’atteggiamento snobistico dell’Academy verso Steven Spielberg.

Martin Scorsese (il secondo da sinistra) tiene in mano l’Oscar vinto per The Departed, circondato dai suoi amici Francis Ford Coppola (alla sua sinistra), Steven Spielberg (alla sua destra) e George Lucas (a destra).

Come altri suoi rinomati colleghi, Spielberg ha visto emergere il suo talento all’interno di quel movimento rivoluzionario che fu la cosiddetta New Hollywood, composta da un gruppo di giovani autori che, come la Nouvelle Vague in Francia pochi anni prima, approfittarono di un momento di crisi del sistema degli Studios per imporre una visione del cinema nuova, più vicina alle nuove generazioni di spettatori e, soprattutto, libera dalle imposizioni stringenti dei produttori e finanziatori. Un cinema indipendente a tutti gli effetti che Hollywood fu, in seguito, in grado di re-integrare tra le proprie fila in modo da rilanciarsi e rinnovarsi. Tuttavia, la Mecca del Cinema non ebbe mai un occhio di riguardo né si mostrò particolarmente riconoscente verso i registi che fecero parte di quel movimento, compresi coloro, come lo stesso Spielberg, che accettarono volentieri di ‘rientrare nei ranghi’ mettendosi al servizio degli Studios.
Pensiamo a Martin Scorsese, regista di capolavori riconosciuti a livello mondiale come Taxi Driver, Quei Bravi ragazzi o Toro scatenato, premiato una sola volta agli Oscar nel 2006 per The Departed – Il Bene e il Male, pellicola pregevole ma per molti non al livello di altri suoi lavori. Oppure a Brian De Palma, uno dei registi più anticonvenzionali e innovativi della New Hollywood, capace di rivisitare e rinnovare i generi più diversi, dall’horror con Carrie – Lo Sguardo di Satana, al noir con Scarface, Gli Intoccabili e Carlito’s Way, mai premiato con l’Oscar e assente dalle scene dal 2012, anno della sua ultima regia per il film Passion. O, infine, a Francis Ford Coppola, i cui successi risalgono alla metà degli anni Settanta, con il trionfo de Il Padrino – Parte II che gli valse gli Oscar per la Miglior regia e il Miglior film. Non a caso, un film, quello tratto dal romanzo di Mario Puzo, realizzato dal regista italoamericano all’interno del sistema di Hollywood e più ‘addomesticato’ rispetto ad altri capolavori decisamente più anarchici da lui diretti, primo tra tutti, ovviamente, Apocalypse Now, candidato nel 1980 ma sconfitto da Kramer contro Kramer, solido film di impegno civile diretto da Robert Benton ma probabilmente non all’altezza dell’opera sontuosa sulla guerra in Vietnam realizzata da Coppola.
La sconfitta di Steven Spielberg agli Oscar 2023 è l’ennesima testimonianza di un’avversione storica dell’Academy verso l’indipendenza dei suoi autori, che ha prodotto vere e proprie ingiustizie nella

Per approfondire temi e curiosità legate al cinema, l’appuntamento è con Buio in Sala, la domenica dalle 20 alle 22 su Radio Cusano Campus.