I social creano dipendenza. Questo è l’immaginario sociale creato attorno all’utilizzo estremizzato della rete, spesso affiancato alla convinzione che basterebbe usarli meno o in maniera diversa per abbattere questa dipendenza, ma il discorso è davvero così semplice e superficiale? La risposta è no.

In pochi sanno infatti che lo spropositato utilizzo di internet e dei social media è stato riconosciuto e istituzionalizzato dal 2015 come una vera e propria dipendenza. Per dipendenza si intende un’alterazione del comportamento che da comune abitudine diventa una ricerca esagerata e patologica del piacere attraverso mezzi, sostanze o comportamenti che sfociano nella condizione patologica.

Per quanto possano sembrare distanti, tutte le dipendenze hanno dei caratteri comuni, come per esempio la perdita della capacità di controllo sull’abitudine, il ritiro dalla vita sociale ,cause fisiche dovute all’utilizzo della sostanza in questione, quali euforia, piacere e gratificazione ecc. o al contrario depressione, ansia e astinenza se non se ne fa uso.

Questa descrizione aderisce perfettamente al modo in cui utilizziamo i social e internet al giorno d’oggi, ogni volta che usiamo un dispositivo infatti riceviamo dei rapidissimi feedback che il cervello interpreta come stimoli di piacere e grazie al rilascio di neurotrasmettitori, come la dopamina o le endorfine, siamo spinti a volerne di più.

Da qui nasce il bisogno di postare foto e mostrarsi agli occhi degli altri per ricevere più like e impression possibili, in quanto sembrano essere l’unica fonte di felicità. E di contro, se non se ne riceve abbastanza cominciano i sintomi come depressione, abbassamento dell’autostima e ossessione di apparire, isolamento sociale.

Internet e i social media

Appare semplice comprendere come questa dipendenza cambi le abitudini della vita quotidiana, non solo per chi ne soffre, ma per la collettività intera: isolamento sociale dovuto alla sensazione di essere sempre insieme perché connessi alla rete, volontà di apparire perfetto e di mostrare solo gli aspetti positivi della propria vita.

Ciò avviene soprattutto a causa del fenomeno chiamato “fear or missing out”, ovvero la paura di “non esserci”, di venir tagliato fuori dagli eventi perché non connessi alla rete e da qui il bisogno di vivere costantemente online.

Vero è che, se da un lato questa tipologia di dipendenza è nativa del web 2.0, non è molto diversa da altre dipendenze del passato, basti pensare all’idea che si celava dietro al giornale, ovvero che portasse l’uomo ad isolarsi, proprio ciò che ora si dice sulla rete. Le dipendenze sono sempre esistite, non è il web in sé il problema, ma l’idea che gira attorno ad esso.

Con questo intendiamo il fatto che l’immaginario collettivo vede la dipendenza da internet come qualcosa di superficiale, risolvibile con le ormai sentitissime frasi “basta usarlo meno” o “basta usarlo meglio”. La dipendenza da social è una cosa seria, ma purtroppo la società non la riconosce come tale e questo si sta mostrando sempre di più creando effetti sempre più gravi.

Attualmente sono stati riconosciuti cinque tipi di dipendenza legati al mondo del web:

● Dipendenza dalle relazioni virtuali (Cyber-Relational Addiction) 

● Sovraccarico cognitivo (Information Overload) 

● Dipendenza dal sesso virtuale (Cybersexual Addiction 

● Gioco Offline (Computer Addiction) 

● Gioco Online (Net Compulsion)

Proprio come avviene per tutte le altre tipologie di dipendenze, è possibile servirsi di strutture e centri per la riabilitazione, attraverso percorsi di indirizzo cognitivo-comportamentale, per aiutare il soggetto a riprendere il controllo della propria vita in maniera duratura.  Spesso il percorso consiste nel lasciare i pazienti senza smartphone e internet e indirizzarli a seguire programmi specializzati. 

Ludovica Graberi