Riforma pensioni 2023 al palo, ecco le soluzioni per anticipare l’uscita nel prossimo anno: si va verso il rinnovo di quota 103, mentre dovrebbe essere ancora rimandata quota 41. Per il governo guidato da Giorgia Meloni ci sarebbero pochi fondi per la previdenza e le risorse disponibili dovrebbero essere spostate sulla riforma fiscale a favore dei lavoratori dipendenti e autonomi. Ci sarà da attendere quindi per quota 41, che il governo conta di mettere a regime entro la fine della legislatura, mentre con 41 anni di contributi si dovrebbe poter continuare a uscire anche nel 2024 purché sia stata raggiunta l’età minima di 62 anni. Quota 103 dovrebbe essere finanziata per il prossimo anno da ulteriori tagli al Reddito di cittadinanza. Ai tavoli della riforma pensioni che si stanno tenendo al ministero del Lavoro, dovrebbe rimanere l’ipotesi di uscita anticipata flessibile proposta dal presidente dell’Inps, Pasquale Tridico. In questo caso si darebbe la scelta al lavoratore di uscire a partire dai 63 anni di età, ma con una penalizzazione.

Riforma pensioni 2023 al palo, ecco le soluzioni per anticipare l’uscita

È in una fase di stallo la riforma delle pensioni per le misure di uscita anticipata del prossimo anno. Il governo guidato da Giorgia Meloni avrebbe fissato quale obiettivo principale della prossima legge di Bilancio quello di accelerare sulla riforma del Fisco, tagliando le tasse dei lavoratori dipendenti e autonomi. Sul fronte previdenziale, probabilmente non troverà spazio la quota 41, misura giudicata troppo costosa. Le più recenti stime avevano fatto emergere una spesa per le casse dello Stato pari a 9 miliardi di euro per l’uscita con 41 anni di contributi a prescindere dall’età e dalle altre situazioni economiche e sociale dei richiedenti. La misura dovrebbe rimanere con tutti i paletti previsti, anche per il 2024. E, cioè, chi esce con 41 anni di contributi (i lavoratori precoci) deve aver accumulato almeno 12 mesi di contributi prima del 19esimo anno di età e rientrare in una delle situazioni di disagio previste dall’Ape sociale (ovvero essere disoccupato, invalido al 74% minimo, accudire un disabile grave in casa da almeno sei mesi o rientrare in una delle categorie gravose). Non dovrebbe esserci, insomma, la “quota 41 senza se e senza ma”, almeno per il prossimo anno.

Verso il rinnovo di quota 103, rimandata quota 41

Con 41 anni di contributi probabilmente si potrà continuare a uscire con quota 103 che ammette al prepensionamento i lavoratori a partire dai 62 anni di età. La misura verrebbe riconfermata riconfermata anche per il 2024 perché comporta una spesa molto più limitata e offre la possibilità ai lavoratori di poter scegliere se aderire, oppure no, al raggiungimento dei requisiti. Scelta che, in ogni modo, permette dei risparmi in bilancio per lo Stato, come è successo anche per le precedenti quota 100 e quota 102. Peraltro, la quota 103 ha un limite di importo fissato mensilmente a cinque volte il trattamento minimo che, per il 2023, è pari a 525 euro circa, cifra ereditata dal 2022: durante quest’anno, le pensioni minime potrebbero salire fino a 574 euro, valore che farà da riferimento per il prossimo anno. Di conseguenza, le pensioni lorde di oltre 5 volte il trattamento minimo percepiranno il tetto massimo di 2.870 euro, al di là dei contributi versati, fino alla maturazione dei requisiti per la pensione di vecchiaia. Questo traguardo permette il ricalcolo della pensione agli effettivi contributi versati. Potrebbe essere valutata la pensione anticipata proposta dal presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, che prevede l’uscita flessibile dai 63 anni di età, ma con il ricalcolo di quanto versato nella vita lavorativa mediante il metodo contributivo, meno conveniente del misto. Si parla di un taglio del 3% che andrebbe a impattare sull’assegno mensile per tutta la durata della vita pensionistica.