Nessuna violazione del codice della strada, nessuna imprudenza e, in definitiva, nessun concorso di colpa da parte di Matteo Prodi, il 18enne investito e ucciso mentre era in bici sui colli bolognesi, il 27 febbraio 2020. Sono le conclusioni a cui è arrivato il Gup del tribunale di Bologna, Sandro Pecorella, nel giudicare Roberto Grandi, il professore ed ex assessore accusato e poi condannato in primo grado a sette mesi e tre giorni per l’omicidio stradale del giovane in rito abbreviato.

Matteo Prodi investito e ucciso a Bologna nel 2020: non ci fu nessun concorso di colpa

Era il 27 febbraio 2020 quando, all’incrocio tra via di Barbiano e via degli Scalini, sui colli bolognesi, Matteo Prodi, nipote dell’ex eurodeputato Vittorio, fratello di Romano, fondatore dell’Ulivo, fu travolto da un’auto, una Toyota rossa, mentre era in bicicletta. Soccorso dal 118 e trasportato in gravi condizioni all’ospedale Maggiore, il giovane morì poco dopo il ricovero a causa delle ferite riportate. 18 anni appena compiuti, maggiore di sei fratelli, Matteo si stava preparando per sostenere l’esame di maturità scientifica al Liceo Fermi e aveva già superato un test per entrare a Ingegneria. Al volante della vettura incriminata, invece, un personaggio molto noto della città, il professore ed ex assessore alla Cultura Roberto Grandi.

Nei suoi confronti, dopo un accordo transattivo tra le parti che ha previsto un risarcimento dell’assicurazione per un milione e mezzo di euro ai familiari della vittima, il giudice ha emesso una sentenza di sette mesi e tre giorni di carcere per omicidio stradale. Ora, a pochi mesi dalla condanna, il Gup del tribunale di Bologna, Sandro Pecorella, ha reso note anche le motivazioni. Secondo quanto emerso dalle indagini, da parte della giovane vittima “non vi fu nessuna violazione del codice della strada, nessuna imprudenza e nessun concorso di colpa”. Dalle sentenze tecniche emerge chiaramente come l’imputato, proveniente dal centro e in svolta a sinistra, abbia completamente tagliato la curva, “manovra di per sé azzardata, anche se davvero comune agli utenti di quella strada”.

Nel farlo, Grandi non assicurò la precedenza alla bici; se l’avesse fatto, “l’impatto tra quest’ultima e la vettura non si sarebbe verificato”. L’incidente, ha spiegato sempre il Gup, “appare essersi realizzato come conseguenza dell’esclusiva azione del conducente, non essendoci, in questo caso, alcun concorso, né nel comportamento della persona offesa, né nelle condizioni climatiche” o di altri eventi esterni. Inoltre, “non è stata provata l’elevata velocità del ciclista ma, anzi, appare ragionevole il contrario”. Insomma, la morte di Matteo avrebbe potuto essere evitata, se il conducente della Toyota avesse messo in atto maggiori accorgimenti.

Nonostante ciò, il giudice ha deciso di riconoscere nei confronti dell’imputato le attenuanti generiche e quella per il risarcimento del danno, in seguito al quale i familiari della vittima, rappresentati dall’avvocato Guido Clausi Schettini, avevano deciso di non costituirsi parte civile al processo. Grandi, che ha avuto anche la sospensione condizionale, è difeso dagli avvocati Pietro Giampaolo e Luca Sirotti. Subito dopo i fatti, aveva dichiarato di sentirsi “distrutto” per quanto accaduto. Candidato alle ultime elezioni amministrative in testa alla lista civica in sostegno di Matteo Lepore, aveva deciso di farsi da parte dopo che un cugino della vittima aveva definito la sua candidatura “inopportuna”. “Prendo atto di queste affermazioni. Per mantenere il clima civile e responsabile della campagna elettorale e per non distrarre il dibattito dai temi sul futuro di Bologna, nel rispetto del dolore della famiglia di Matteo Prodi e ipotizzando che anche per loro la mia eventuale presenza in consiglio comunale sia inopportuna, mi faccio da parte”, aveva fatto sapere in una nota diffusa dalla stampa locale.