Ictus, la cura nell’elettrostimolazione: gli stimoli elettrici hanno risvegliato i movimenti e salvato dalla paralisi due donne e un giovane rimasto paraplegico dopo una lesione spinale. Gli incoraggianti risultati arrivano al termine di una ricerca condotta dalle Università americane di Pittsburgh e Carnegie Mellon e dall’University Pittsburgh Medical Center (Upmc). Gli scienziati hanno utilizzato la stimolazione elettrica del midollo spinale: si tratta dei primi tre pazienti che hanno sperimentato questa nuova metodologia terapeutica, dopo anni di studi su differenti modelli di scimmie e computer. La ricerca è stata pubblicata il 20 febbraio scorso su Nature Medicine, tra le più importanti riviste inglesi specializzate nel contesto sanitario. Tra gli scienziati che hanno partecipato alla ricerca dell’Università di Pittsburgh, anche due italiani: Elvira Pirondini e Marco Capogrosso. Si è trattato finora di uno studio pilota, interrotto dopo un mese circa. Ma la speranza è quella di arrivare a un utilizzo clinico della tecnica dell’elettrostimolazione del midollo spinale nei prossimi cinque o dieci anni affinché la possibilità di restituire il movimento e anche la sensibilità ai pazienti colpiti da ictus o da lesioni spinali possa diventare una realtà.

Ictus cura con stimoli elettrici che risvegliano i movimenti: ecco i risultati, sperimentazione su Nature Medicine

La tecnica dell’elettrostimolazione sperimentata dall’Università di Pittsburgh per i casi di ictus e di paralisi degli arti consiste nell’impiantare due elettrodi al livello del collo. Gli elettrodi forniscono impulsi per riattivare le cellule nervose dentro il midollo spinale. Il giovane era rimasto paraplegico un anno fa dopo un trauma spinale: adesso è tornato a muovere gli arti e a camminare. La stessa cosa è avvenuta per due donne di 31 e 47 anni, rimaste paralizzate a seguito di un ictus: adesso possono muovere braccia e mani grazie agli elettrodi sperimentati dall’Università di Pittsburgh e da Douglas Weber della Carnegie Mellon, che ha coordinato i ricercatori impegnati in questa nuova tecnica. Tra i ricercatori, vi sono due italiani, ex allievi dell’Istituto di Biorobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, Elvira Pirondini e Marco Capogrosso, guidati durante gli studi da Silvestro Micera, loro professore di Bioelettronica ed esperto nella ricerca su Neuroprotesi motorie e sensoriali alla Scuola Sant’Anna di Pisa. “Anche questo studio dimostra la straordinaria potenzialità del midollo spinale nel generare movimenti – ha spiegato Silvestro Micera, che ha partecipato anche allo studio – Stimolando in maniera intelligente il midollo spinale la tecnica restituisce, nel caso del ragazzo con trauma, o facilita, nel caso delle due donne colpite da ictus, il movimento di persone che altrimenti non potrebbero più muovere le gambe o l’arto superiore”.

Risultati incoraggianti, presto test clinici più ampi

I due casi, quello delle donne e quello del ragazzo con trauma al midollo spinale, sono stati trattati in maniera differente dal punto di vista della ricerca tecnologica dall’Università di Pittsburgh. “I casi sono molto diversi da vari punti di vista – ha spiegato ancora il professore Silvestro Micera – Il ragazzo ha una lesione completa del midollo spinale, quindi non c’è movimento volontario e la stimolazione deve fare tutto, mentre le due donne hanno avuto un ictus. In un caso è il cammino, negli altri due casi i movimenti del braccio sono assistiti, facilitati e coadiuvati dall’elettrostimolazione del midollo, rendendoli possibili insieme al movimento volontario”. Sulla possibilità che queste tecniche possano essere disponibili a breve per tutti, anche per le terapie riabilitative, il professore si mostra ottimista. “Siamo arrivati a un punto interessante, tecnologie sviluppate dieci o venti anni fa che hanno subito una serie di evoluzioni tecnologiche e di sperimentazione animale, cominciano sempre più a essere utilizzate nella pratica clinica, anche se al momento su pochi soggetti. Ma – conclude Silvestro Micera – chiaramente i prossimi passi, visti i risultati promettenti, vanno nella direzione di test clinici più ampi e con più pazienti”.