Nuovo capitolo nel caso di Liliana Resinovich: la procura di Trieste ha chiesto di archiviare il fascicolo sulla morte della donna, scomparsa il 14 dicembre 2021 e trovata senza vita il 5 gennaio 2022. Secondo gli inquirenti, non ci sono abbastanza indizi da poter ipotizzare che possa essersi trattato di un omicidio. 

Il caso di Liliana Resinovich, la ricostruzione 

La mattina del 14 dicembre 2021 Liliana Resinovich, 63 anni, uscì di casa, in via Verrocchio, a San Giovanni (Trieste) dove viveva con il marito Sebastiano Visintin.

La donna quel giorno era uscita di casa per andare da Claudio Sterpin, 83 anni, ex atleta, con cui Liliana pare avesse instaurato una relazione, da cui però non arriverà mai. Il corpo della 63enne fu ritrovato il 5 gennaio successivo in un boschetto poco distante da casa, la testa chiusa in due buste di nylon stretti con un cordino e il corpo in due sacchi di plastica, uno infilato dall’alto, uno dal basso.

“Si sarebbe trattato di intenzionale allontanamento”

Nel comunicato con cui la procura di Trieste chiude il caso di Liliana Resinovich, si legge che “la sola ricostruzione degli eventi consegnata dagli atti processuali è quella dell’intenzionale allontanamento dalla sua abitazione e dell’altrettanto intenzionale decisione di por fine alla propria vita”.

Secondo il procuratore capo Antonio De Nicolo, i risultati delle indagini non lasciano spazio ad altre ipotesi, e “dunque non legittima le illazioni arbitrarie e fantasiose germogliate qua e là nel gorgo mediatico che ha avviluppato questa vicenda e dal quale questo Ufficio s’è doverosamente tenuto lontano”. 

Giallo sul giorno della morte 

Ancora non si conosce il giorno esatto della morte di Liliana. A tal proposito la Procura di Trieste scrive:

Se non è stato possibile appurare se sia vero che la signora sia deceduta lo stesso giorno della sua scomparsa […] per la procura non è necessario sciogliere tale dilemma per giungere all’archiviazione della vicenda: è sufficiente constatare che dalle indagini, scrupolosamente condotte, non è emersa, con un minimo di concretezza, alcuna ipotesi di reato specifica e perseguibile ai danni della deceduta. 

A spingere verso la chiusura del caso, si è rivelata decisiva la consulenza medico legale chiesta dalla procura in cui si evidenziava l’assenza di “qualsivoglia segno ragionevolmente riportabile a violenza per mano altrui”, la mancanza “di lesioni attribuibili a difesa” e di altre ferite che avrebbero potuto impedirle di reagire a un’aggressione.