Andrea Sceresini e Alfredo Bosco sono due giornalisti italiani bloccati e “censurati” in Ucraina. Stanno aspettando di essere interrogati dai servizi di sicurezza di Kiev. Il 6 febbraio, mentre erano di ritorno dal fronte di Bakhmut, il ministero della Difesa ucraino ha notificato la sospensione dei loro accrediti militari.
Noi di TAG24 abbiamo intervistato Andrea, per farci raccontare le paradossali e kafkiane vicissitudini che sta vivendo per raccontare la guerra dall’Ucraina.
Partendo dall’inizio: cosa è successo?
Io e Alfredo Bosco siamo stati in Ucraina tantissime volte a partire dal 2014, spesso insieme. A febbraio 2022 siamo venuti qui, il giorno che è scoppiata la guerra, e abbiamo lavorato tranquillamente fino a dieci giorni fa, facendo un po’ avanti e indietro. Lui penso che sia l’italiano che ha passato più tempo qui, ha lavorato tantissimo. Dieci giorni fa eravamo a Bakhmut, io stavo facendo un pezzo che va in onda domani su Frontiere e lui fa i pezzi per il Fatto Quotidiano e i collegamenti per La7, quando ci arriva questo messaggio da parte del Ministero della Difesa ucraino che diceva che i nostri accrediti militari erano sospesi in attesa di accertamenti. L’accredito è quel documento che consente di spostarti in territorio di guerra, in Donbass ma anche a Kiev te lo possono chiedere. Però in Donbass ci sono molti posti di blocco a tutti gli incroci e te lo chiedono spesso, lo fotografano e se è valido ti fanno passare, se non è valido ti bloccano. Comunque non puoi lavorare senza. Ci arriva questo messaggio e ci dicono che la questione è che lo SBU – i servizi di sicurezza – devono interrogarci per capire se possiamo rimanere in Ucraina oppure no. Questo interrogatorio non c’è mai stato. Sulla chat dei fixer nel contempo ha iniziato a girare la voce che noi siamo dei collaboratori dei russi, dei filorussi: sono voci che in territori dove si combatte, non è il massimo della vita. Noi eravamo a Kramatorsk mentre era bombardata tutte le notti ed essere chiusi in casa lì non era particolarmente bello. Noi facevamo base a Kramatorsk per andare verso Bakhmut. Dopo 4 giorni a Kramatorsk siamo venuti a Kiev, qui c’è la sede centrale dello SBU, c’è l’ambasciata, che non ha fatto molto per aiutarci. Speravamo che stando qui riuscivamo a smuovere un po’ le acque senza alzare alcun polverone.
Tre giorni fa abbiamo saputo che un nostro collega, Salvatore Garzillo, è stato fermato al confine polacco e non lo hanno fatto entrare, anche lui con accuse velate di essere un nemico, una spia. C’è un altro nostro collega, Lorenzo Giroffi, anche lui è venuto con noi nel 2014, anche lui bloccato due volte al confine prima ungherese e poi polacco, a febbraio 2022 e aprile 2022. Diventa una cosa di dimensioni abbastanza grosse.
Poi ieri parlando con i funzionari del ministero della difesa italiano, ci hanno detto che sarebbero 7 o 8 i giornalisti italiani a Kiev, o in Ucraina, in queste condizioni. Questa è una notizia che non ho avuto modo di verificare, ma così ci hanno detto. Il punto di fondo sembra che sia che tutti quelli che sono stati in passato a lavorare nelle zone separatiste sono finiti nella black list e vengono trattati in questo modo perché vengono considerati automaticamente dei nemici dello Stato.
Poi c’è da dire che nel 2015, io Bosco e Giroffi, che venimmo qui a febbraio, andammo a Kiev. Io in Russia non c’ero mai stato in vita mia, mandai il passaporto, avevamo il tesserino ATO che rilasciavano a Kiev per andare nelle zone di guerra. Qualche mese dopo ci arriva un email che ci informa che eravamo entrati in Ucraina, nel Donbass, passando per la Russia, quindi violando i confini ucraini. Per questa ragione il governo ucraino ci bannava dal Paese per cinque anni. Facemmo presente che non era così, mandammo il passaporto, il tesserino ATO, i biglietti aerei per Kiev, però non ci fu ragione e per 5 anni non siamo più tornati in Ucraina. Dal 2020 in poi potevamo tornare e non abbiamo avuto più problemi, fino a dieci giorni fa.
Con quali prove vi stanno accusando di essere collaboratori del nemico?
Non ci sono accuse ufficiali, lo SBU ci ha detto che ci deve interrogare ma non ci hanno detto su cosa o per cosa. Le voci che giravano sono queste qua. Tutti noi siamo stati in territori separatisti nel passato e la Farnesina ci ha fatto capire che la ragione potrebbe essere questa. Questo è il filo rosso che ci collega a tutti e quattro, più gli altri che non si sa chi siano, dove siano, se ci siano.
Nei gruppi fixer ce lo hanno fatto capire, anche i diplomatici. Ma di scritto non abbiamo nulla, tolti i fixer con gli screen di Whatsapp.
La Farnesina quindi cosa sta facendo?
Loro ci hanno assicurato che stavano facendo pressione sullo SBU affinché ci convocassero il prima possibile, ma di fatto siamo fermi. L’ambasciata l’unica cosa pratica che ha fatto è una lettera che ci ha permesso di spostarci verso Kiev, una lettera firmata dall’ambasciata dove c’è scritto che siamo cittadini italiani e che dovevamo venire a Kiev sotto la protezione dell’ambasciata. Ora ci diamo qualche giorno di tempo poi penso che torneremo in Italia. Qui non possiamo lavorare, girare per la città non è il massimo perché non sai mai chi incontri. L’interrogatorio mi sembra evidente che non ci sarà mai. Fai conto che noi il secondo giorno dovevamo essere interrogati, ma non si è mai visto nessuno. È tutta una scusa per farci star qua senza far nulla e poi farci andar via. Non possono espellerci, non abbiamo fatto nulla. L’unica è farci uscire dal Paese con le buone e poi una volta che proveremo a rientrare ci diranno che non possiamo entrare perché siamo bannati dal Paese, questa è una mia supposizione ma viste le pregresse esperienze mi sembra abbastanza realistica.
Quindi quest’ultima volta quanto sei stato in Ucraina?
Sono partito il 3 febbraio ed ho lavorato un giorno: il 6 febbraio. Per arrivare a Kramatorsk ci vogliono 2-3 giorni dall’Italia. Il 6 febbraio poi abbiamo ricevuto la notizia quando eravamo di ritorno da Bakhmut, quando eravamo in macchina, è arrivata questa email da parte del ministero della Difesa ucraino nella quale si sospendeva l’accredito.
Te l’aspettavi una cosa del genere?
No. Ti dico la verità, io sono stato anche in Russia a ottobre, sono andato a fare un documentario per Rai2 in Siberia sotto copertura per raccontare come vengono arruolati i soldati russi. Queste sono regioni poverissime dove i ragazzi si arruolano, non hanno un soldo. Quindi c’è un grande malcontento da parte delle famiglie che si vedono tornare i soldati nelle bare. Io, prima di partire, per il timore che vedessero il timbro russo e pensassero chissà cosa, ho chiamato l’ambasciata ucraina e gli ho mandato il documentario. Mi avevano fatto i complimenti e mi avevano detto di stare tranquillo, che non c’era alcun tipo di problema. Pensavo di essere tranquillo da questo punto di vista. È un anno che seguo questo conflitto, ho fatto vedere i miei documenti a una valanga di soldati. Penso che lo SBU va un po’ per conto suo rispetto al governo ucraino. Poi la Meloni viene qui a Kiev o lunedì o martedì. Non siamo solo noi, ci sono tutti i colleghi qui che sono col piede di guerra per questa cosa, è qualcosa che potrebbe colpire chiunque, perché tutti sono stati nel 2014 a Donetsk e Luhansk.
Il problema non è di sicurezza nostro, il problema è della libertà di stampa. Ma non lo so come va a finire.
Torneremo penso passando per il confine polacco. È una cosa che mette una spada di Damocle su tutti i giornalisti che adesso staranno attentissimi a non mettere una virgola fuori posto, e crea clima da caccia alle streghe dove chiunque può essere colpito senza alcuna ragione apparente. Di fatto poi ti tagliano fuori.
La tua posizione sul governo ucraino è cambiata dopo questa esperienza?
Io non sono un tifoso del governo ucraino, non lo sono mai stato, così come non sono un tifoso del governo russo. La mia è una posizione indipendente, racconto quello che vedo da una parte e dall’altra senza tifare per uno o per l’altro. Tifo senz’altro per il popolo ucraino che sta subendo un’azione vergognosa, immotivata e devastante. Sul governo non saprei cosa dire, mi sembra evidente che ci siano dei problemi grossi, ma questo già si sapeva. Certamente l’Ucraina dovrà dimostrare che non è un Paese come la Russia: queste cose accadono in Russia, l’Ucraina dovrebbe dimostrare che in Ucraina queste cose non accadono perché non è un Paese come la Russia. Certamente qui c’è molta più libertà che in Russia.
Ti aggiungo una cosa: so da colleghi che non posso rientrare neanche dalla parte separatista perché anche lì sarei nella lista nera e avrei una specie di blocco. A me i separatisti hanno arrestato nel 2016 perché non gli piaceva come stavo lavorando. Se c’è un filorusso certamente non sono io, non siamo noi. Questa cosa a maggior ragione è completamente folle. Poi qui vige la regola che se vai da una parte sei tifoso di quella parte lì. Io so dai colleghi che non devo più tornare neanche nelle parti separatiste. È un po’ paradossale, è kafkiano.