Elezioni Regionali 2023 con affluenza ai minimi storici. I dati relativi a oltre il 50% (1.022) dei 1.882 comuni al voto per le regionali di Lombardia e Lazio testimonino un’affluenza alle ore 19 del 26,24% (era stata del 58,17% alle precedenti omologhe). Lo rende noto il sito del Ministero dell’Interno. In Lombardia (829 comuni su 1.504) l’affluenza è del 26,93% (nel 2018 alla stessa ora e con lo stesso numero di comuni aveva votato il 60,14%). Nel Lazio (193 comuni su 378) è del 24,19% (52,47%). Numeri che non si discontano troppo da quelli emersi alle ore 12. Va sottolineato che nel 2018 si votò in una sola giornata, mentre in questa tornata elettorale i seggi saranno aperti anche lunedì 13 febbraio dalle ore 7 fino alle ore 15, mentre questa sera chiuderanno alle ore 23.

Per misurare l’astensionismo, si procederà al paragone con i dati raccolti nelle ultime politiche e delle stesse regionali del 2018. Alle politiche di settembre 2022 l’affluenza si fermò a un passo dal 64%. Una soglia che mostrava già il profondo distacco degli elettori ma che potrebbe accentuarsi ancora. Non migliora il confronto col dato delle regionali di cinque anni fa. Quando la Lombardia incoronò il leghista Attilio Fontana, dopo il passo indietro di Roberto Maroni, l’affluenza fu del 73% (oltre al sostegno del 29,65% della Lega, del 14 di FI e appena il 3,64 di FdI). Idem, in proporzione, nel Lazio dove ci fu il bis del segretario del Pd, Nicola Zingaretti, e al voto andò il 66,5% degli aventi diritto.

Due percentuali difficilmente ripetibili tenendo conto che la domenica si registrano numeri tendenzialmente superiori al lunedì. A questo si aggiunge un aspetto politico che porterà ad un condizionamento soprattutto le performance di Lega e Forza Italia più in sofferenza rispetto a Fratelli d’Italia. Silenzio stampa sull’astensionismo Dem, 5 Stelle e Terzo polo, consapevoli che potrebbero accusare il colpo anche loro, in una partita elettorale tutta in salita.

Specie nel Lazio, dove il Pd rischia di perdere una roccaforte storica dopo dieci anni e, in generale, per la scelta di dividersi tra Roma e Milano con schemi alternati che potrebbero penalizzare tutti i tre rivali. Nel Lazio al candidato del centrodestra, Francesco Rocca, si contrappongono Alessio D’Amato, l’ex assessore sostenuto dal Pd e Terzo Polo, e Donatella Bianchi, la giornalista messa in campo dal Movimento 5 Stelle; Rosa Rinaldi per Unione popolare e Sonia Pecorilli per il Partito Comunista Italiano. Lo schema si ribalta in Lombardia con Francesco Majorino del Pd su cui c’è la convergenza dei grillini e Letizia Moratti che, appoggiata da Renzi e Calenda, prova a strappare voti al Presidente uscente Fontana, ma probabilmente anche a sinistra. A questi si aggiunge anche Mara Ghidorzi per Unione Popolare.

Da capire quali potrebbero essere i risvolti politici di queste due votazioni. L’astensionismo e la sconfitta potrebbe portare ad una nuova alleanza del centrosinistra per contrastare il governo attuale. Allo stesso tempo non è da scartare l’ipotesi di crescente tensione nella maggioranza con la Lega e Forza Italia debilitate dai risultati del voto.

In Lombardia la legge elettorale prevede la nomina di una forbice di consiglieri compresi tra 46 e 58: oltre al presidente regionale eletto, sono nominati il primo candidato non eletto, e i restanti posti sono determinati dalla percentuali di consensi della coalizione (44 seggi con meno del 40%, fino a 56 se si supera la soglia del 78% di preferenze). Il Comune di Milano ha deciso per le giornate di voto di istituire una fila unica per i votanti con l’obiettivo di abbattere le discriminazioni di genere e non disincentivare il diritto di voto delle categorie transgender.