Fratelli d’Italia pronta a fare l’asso pigliatutto del centrodestra. Silvio Berlusconi e Matteo Salvini temono di affondare. Le elezioni regionali di Lazio e Lombardia si apprestano ad essere la cartina di tornasole del centrodestra. E Giorgia Meloni è pronta a fare la parte del leone. Ma andiamo con ordine. Se sulla carta la vittoria è scontata, più incerto l’effetto che avrà sugli equilibri interni ai tre principali partiti. Anche oltre i confini elettorali di Milano e Roma. Di sicuro è la Lombardia lo snodo clou. Qui, al di là della conferma del leghista Attilio Fontana – dato per favorito – Fratelli d’Italia potrebbe guidare una mini rivoluzione diventando il partito più votato e mettendo di fatto all’angolo Forza Italia e Lega, storici amministratori al nord. Esito che confermerebbe il cambio di rotta registrato alle ultime politiche: 5 mesi fa in Lombardia il 27,6 degli elettori ‘meloniani’ avevano quasi doppiato i leghisti, fermi al 13,9 e ancor più i berlusconiani attorno al 7%. Dati che se confermati anche alle regionali rischierebbero di alterare in primo luogo gli equilibri interni alla Lega, accelerando poi lo spoil system che ne seguirebbe a livello regionale, probabilmente targato FdI.

Orizzonte tutto da scrutare anche nel Lazio. Se vincesse il candidato Francesco Rocca, la coalizione di centrodestra tornerebbe al governo dopo 13 anni dall’ultima sua governatrice eletta, Renata Polverini. Una vittoria della squadra, ripeterebbero in coro gli alleati. Contemporaneamente, però, sarebbe difficile frenare la tentazione di FdI di fare l”asso pigliatutto’, è il timore in alcuni settori della maggioranza di governo. Del resto al voto del 25 settembre si era attestata al 26%. Un’ascesa che sa di boom per un partito nato nel 2012 e che un anno dopo, alle regionali del Lazio (vinte da Nicola Zingaretti) aveva di poco superato il 3%, salendo all’8,69 nel 2018. Inoltre, se proprio qui si confermasse il trend negativo previsto dai sondaggi, per la Lega sarebbe la conferma che è tramontato il sogno del partito nazionale, e non più solo nordista, che fu il grande obiettivo centrato inizialmente da Salvini. Il 13 febbraio – raccontano alcuni dirigenti – basterà contare i consensi che prenderà la lista di Fontana, per aver la misura del disagio che cova nell’ex Carroccio: 5 anni fa era appena all’1% contro il quasi 50% con cui il governatore fu eletto. “Se ora la lista avrà il 3-4% dimostrerà che quelli sono i voti dei tanti leghisti che confermano Fontana, ma non della Lega in sé”, è la previsione preoccupata. In imbarazzo è pure FI di fronte a un flop temuto da tempo e che brucerebbe tanto nella terra di Silvio Berlusconi e del suo ‘miracolo’ italiano. Da qui l’ipotesi di un’alleanza sotterranea che FI e Lega potrebbero siglare per non essere fagocitati dall’alleato più giovane. In caso di un trionfo di FdI, non si esclude nemmeno l’ipotesi di un ‘restyling’ necessario degli organigrammi interni al partito , costretto a ristrutturarsi per gestire un ruolo più ampio e complesso.

Intanto, nello schieramento opposto – tra Pd, 5 Stelle e Terzo polo – si sta a guardare. Non solo perché le aspettative sulle performance dei vari candidati sono tendenzialmente basse. Cruciale sarà la conta dei voti di ciascun partito, vista la scelta dei tre di fare alleanze distinte nelle due regioni, e soprattutto il distacco fra loro. Ad esempio contando quanti consensi strapperà Letizia Moratti, sostenuta da Calenda e Renzi a Milano, a Francesco Majorino, candidato del Pd e, un po’ più a denti stretti, dal M5s. Da chi otterrà il primato nel centrosinistra si trarranno conseguenze importanti. Resta il fatto che l’obiettivo di un’alleanza consolidata appare un miraggio. Con una previsione: basterà aspettare che esplodano le rivalità sopite nel centrodestra – raccontano le opposizioni nei corridoi parlamentari – per ricompattare il fronte dei progressisti.