Quali sono i migliori libri da leggere per la Giornata della Memoria? Sulla data del 27 gennaio, anniversario della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz al termine della Seconda Guerra Mondiale, si è detto e scritto moltissimo, tanto da rendere difficile la selezione. Ci sono alcune opere, però, che bisogna assolutamente recuperare. Ecco cinque proposte, tra saggi e romanzi.

I 5 libri da leggere per la Giornata della Memoria

1. “Se questo è un uomo” di Primo Levi

Tra i capisaldi della letteratura sulla Shoah non si può non citare “Se questo è un uomo” di Primo Levi. Scritta tra il 1945 e il 1947, l’opera, che rappresenta una delle più coinvolgenti testimonianze di quanto accaduto all’interno del campo di concentramento di Auschwitz, dove l’autore fu deportato nel 1944 per le sue origini ebraiche, ottenne la notorietà e il successo solo nel 1958, quando a pubblicarla, dopo averla rifiutata per ben due volte, fu la casa editrice Einaudi. Levi vi indaga le complesse regole che governano la vita del campo e le relazioni tra i detenuti, ripercorrendo quanto vissuto sulla propria pelle e riflettendo, da scienziato, su svariati temi. Così recita la sinossi ufficiale:

Testimonianza sconvolgente sull’inferno dei Lager, libro della dignità e dell’abiezione dell’uomo di fronte allo sterminio di massa, Se questo è un uomo è un capolavoro letterario di una misura, di una compostezza già classiche. È un’analisi fondamentale della composizione e della storia del Lager, ovvero dell’umiliazione, dell’offesa, della degradazione dell’uomo, prima ancora della sua soppressione nello sterminio. Primo Levi, reduce da Auschwitz, pubblicò Se questo è un uomo nel 1947. Einaudi lo accolse nel 1958 nei «Saggi» e da allora viene continuamente ristampato ed è stato tradotto in tutto il mondo.

2. “Il diario” di Anne Frank

Altra imperdibile testimonianza sull’Olocausto è quella contenuta ne “Il diario” di Anne Frank. Si tratta di una raccolta di scritti, in forma di diario, appartenuti a una ragazza ebrea nata a Francoforte e poi trasferitasi con la famiglia ad Amsterdam. Qui, nel 1942, essa è costretta ad entrare in clandestinità per sfuggire alla deportazione: dei suoi membri, catturati nel 1944, tutti, ad eccezione del padre, moriranno nei campi di sterminio nazisti, inclusa Anne, morta di tifo a Bergen-Belsen, nel febbraio o marzo del 1945.

Quando Anne inizia il suo diario, nel giugno 1942, ha appena compiuto tredici anni. Poche pagine, e all’immagine della scuola, dei compagni e di amori più o meno immaginari, si sostituisce la storia della lunga clandestinità: giornate passate a pelare patate, recitare poesie, leggere, scrivere, litigare, aspettare, temere il peggio. “Vedo noi otto nell’alloggio segreto come se fossimo un pezzetto di cielo azzurro circondati da nubi nere di pioggia”, ha il coraggio di scrivere Anne. Obbedendo a una sicura vocazione di scrittrice, Anne ha voluto e saputo lasciare testimonianza di sé e dell’esperienza degli altri clandestini. La prima edizione del Diario subì tuttavia non pochi tagli, ritocchi, variazioni. Ora il testo è stato restituito alla sua integrità originale, e ci consegna un’immagine nuova: quella di una ragazza vera e viva, ironica, passionale, irriverente, animata da un’allegra voglia di vivere, già adulta nelle sue riflessioni.

3. “L’amico ritrovato” di Fred Uhlman

Altro classico sulla Shoah, molto apprezzato anche dai ragazzi, è “L’amico ritrovato” dello scrittore tedesco Fred Uhlman: la storia di un’amicizia tra due ragazzi, uno tedesco e l’altro ebreo, le cui vicende si scontrano inevitabilmente con la Storia.

Germania, 1933. Due sedicenni frequentano la stessa scuola esclusiva. Uno è figlio di un medico ebreo, l’altro è di ricca famiglia aristocratica. Tra loro nasce un’amicizia del cuore, un’intesa perfetta e magica. Riuscirà a non essere spezzata dalla Storia? Racconto di straordinaria finezza e suggestione, «L’amico ritrovato» è apparso nel 1971 negli Stati Uniti ed è poi stato pubblicato in tutto il mondo con unanime, travolgente successo di pubblico e critica. 

4. “Il giardino dei Finzi-Contini” di Giorgio Bassani

Tra le opere italiane sul tema, imperdibile è “Il giardino dei Finzi-Contini” di Giorgio Bassani: un vero e proprio classico della letteratura del nostro Paese, pubblicato per la prima volta nel 1962 e ispirato alla vera storia di Silvio Magrini, presidente della comunità ebraica di Ferrara dal 1930, e della sua famiglia, costretta a subire il destino persecutorio di tanti altri ebrei italiani, spesso dall’esito tragico.

Un narratore senza nome ci guida fra i suoi ricordi d’infanzia, nei suoi primi incontri con i figli dei Finzi-Contini, Alberto e Micòl, suoi coetanei resi irraggiungibili da un profondo divario sociale. Ma le leggi razziali, che calano sull’Italia come un nubifragio improvviso, avvicinano i tre giovani rendendo i loro incontri, col crescere dell’età, sempre più frequenti. Teatro di questi incontri, spesso e volentieri, è il vasto, magnifico giardino di casa Finzi-Contini, un luogo che si imbeve di sogni, attese e delusioni. Il protagonista, giorno dopo giorno, si trova sempre più coinvolto in un sentimento di tenero, contrastato amore per Micòl. Ma ormai la storia sta precipitando e un destino infausto sembra aprirsi come un baratro sotto i piedi della famiglia Finzi-Contini.

5. “La banalità del male” di Hannah Arendt

Per concludere, è impossibile non annoverare tra i libri da recuperare uno dei saggi più famosi di Hannah Arendt, “La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme” che, come dice il titolo, ripercorre il processo al gerarca nazista Adolf Eichmann a Gerusalemme, nel 1961.

Otto Adolf Eichmann, catturato in un sobborgo di Buenos Aires la sera dell’11 maggio 1960, trasportato in Israele nove giorni dopo in aereo e tradotto dinanzi al Tribunale distrettuale di Gerusalemme l’11 aprile 1961, doveva rispondere di quindici imputazioni, avendo commesso, “in concorso con altri”, crimini contro il popolo ebraico, crimini contro l’umanità e crimini di guerra sotto il regime nazista, in particolare durante la Seconda guerra mondiale. Hannah Arendt va a Gerusalemme come inviata del “New Yorker”. Assiste al dibattimento in aula e negli articoli scritti per il giornale sviscera i problemi morali, politici e giuridici che stanno dietro al caso Eichmann. Ne nasce un libro scomodo: pone le domande che non avremmo mai voluto porci, dà risposte che non hanno la rassicurante certezza di un facile manicheismo. Il Male che Eichmann incarna appare alla Arendt “banale”, e perciò tanto più terribile, perché i suoi servitori più o meno consapevoli non sono che piccoli, grigi burocrati. I macellai di questo secolo non hanno la “grandezza” dei demoni: sono dei tecnici, si somigliano e ci somigliano.