“La ferita sul suo braccio destro è purulenta. Non riesco a scorgere la sua faccia nascosta dal profilo delle infermiere. Quando smette di gridare cerca di morderle. Non dico una parola. Mi siedo e le suono al violoncello il tema dell’Andante del Trio op.100 di Schubert. Passano solo tre secondi, forse due battute e il suo braccio si rilassa. Le grida cessano, nella stanza ritorna la calma e sulle sue labbra un accenno di sorriso”. Così Claire Oppert diplomata in violoncello al Conservatorio Tchaikovsky di Mosca, ma laureata pure in filosofia e diplomata in arte-terapia, descrive l’incipit della sua esperienza di musicista e terapeuta, o meglio di terapeuta attraverso la musica.

“La cura Schubert”, libro di Claire Oppert, edito da Fuorilinea

“La cura Schubert” di Claire Oppert

Anche il lettore italiano può documentarsi su “La cura Schubert”, grazie all’Editore Fuorilinea e all’agile traduzione di Véronique Viriglio. Ricorda Claire Oppert che duecento casi di ragazzi autistici, malati terminali, anziani malati non autosufficienti o dementi, sono stati passati in rassegna in uno studio clinico durato tre anni, per verificare gli effetti che la musica è in grado di produrre in situazioni di sofferenza variamente determinata: dal disagio psichico al dolore lancinante, dal ripiegamento su se stessi al finis vitae.

“L’efficacia antalgica di questo approccio non medicamentoso è confermata scientificamente, con rigore, e con la consapevolezza, tuttavia, dei suoi limiti e delle sue possibili distorsioni. Se ne parla in diversi congressi internazionali di medicina in Francia, Svizzera, Spagna, Canada, Giappone e Israele”. Schubert e Mozart, Puccini e Verdi, Edith Piaf e Adamo, ma di fatto ogni tipo di musica, dal barocco di Giuseppe Sammartini (1695-1750) al metal dei Ramstein, sono tornate utili nella pluridecennale esperienza di Claire Oppert per ottenere in modo ricorrente effetti positivi nella cura di malattie gravi e complesse, come ad esempio quelle neurodegenerative. Scopo della terapia musicale è per un verso alleviare il dolore , soprattutto l’ansia, per un altro di contribuire attraverso la musica ad una “chiamata alla vita” e permettere forme, per quanto provvisorie e fugaci, di ritorno alla vita in persone che con la sofferenza hanno perso pure la voglia di vivere e reagire.

L’incontro con i malati

Il libro di Claire Oppert è il “racconto” di un percorso e di un’esperienza non meramente pratica (Erfarung), ma pure esistenziale (Erlebnis): un percorso di vita dove la musicista, la terapeuta e non da ultimo la narratrice, si incontrano.  

Ma l’incontro vero e vibrante è quello con i malati, il “pubblico” dei suoi concerti di violoncello. Il libro è essenzialmente una cronaca ragionata e partecipata di decine di questi incontri fatti di sguardi, parole, a volte urla, e di musica. Tanta musica e, come si ricordava, della più varia: quasi sempre brani e autori scelti dai malati.

Nel racconto di Claire Oppert incontriamo Paul, quindicenne autistico che grazie alla Suite numero 1 di Bach passa dagli sputi ai sorrisi, come David un ragazzo autolesionista che, dopo un anno di terapia con le Suites di Bach, si lascia sfuggire “Un sorriso di luce. Un sorriso miracolo”. Nelle pagine de “ La cura Schubert” c’è la Signora Vaillant con la sua Legion d’Onore e la forchetta con cui mangia ed aggredisce i suoi commensali; la Signora Moretti con un cancro metastatico che le ha reso le membra rigide e tese,  il Signor Koumba un ex pugile affetto da SLA, o la Signora Muller che ha un cancro al seno con metastasi epatiche e ossee,  il Signor Rivière con un tumore esofageo e metastatico, come il Signor Lebrun, per giunta quasi cieco e sofferente di allucinazioni. C’è il Signor Kahil, un ventenne magrebino con un cancro devastante che accompagna con la sua chitarra l’esecuzione di Claire.

Queste ed altre testimonianze mostrano reazioni che evocano, attraverso la musica, sensazioni diverse: la musica viene descritta come “Una sorta di via di fuga” dalla sofferenza, una parentesi di armonia e serenità che allontana lo strazio, un balsamo, una sospensione del dolore. Oppure la musica ha l’effetto di “rianimare il nucleo profondo in noi”, di scuotere, di rompere il silenzio e l’immobilità, come nel caso della Signora Ricci, ridestata dopo un giorno di perdita di coscienza dalla Bohème di Puccini.

La musica al centro della riflessione

La musica come componente essenziale della vita, tanto nel macrocosmo (Universo) che nel microcosmo (Uomo) è al centro della riflessione almeno a partire da Pitagora, il quale sosteneva che il movimento dei pianeti generava anche una musica armonica, teoria che viene ripresa da Platone nella Repubblica e da Cicerone nel celebre Sogno di Scipione, ma anche nel Medioevo nelle Arti del Quadrivio, con la Matematica, la Geometria e l’Astronomia si studiava la Musica. Dante nel Convivio scrive che “La musica trae a sé li spiriti umani”, rinviando a uno dei caratteri essenziali della musica: l’armonia che è ordine, equilibrio, conciliazione, movimento vitale.

Quando il suono e la voce diventano disarmonici si trasformano in rumore, grido lancinante, suono sconnesso e perturbante, modalità tutte in cui il dolore irrompe e si esprime. Allo stesso tempo la musica, a volte, può riportare il movimento e la vita nella fissità e nel silenzio di un corpo e di una mente che sembrano diventati altro dalla vita.

L’approccio di Claire Oppert è realistico , le sue valutazioni sull’efficacia del Metodo Schubert caute ed equilibrate. Correttamente sostiene che è difficile valutare con parametri certi gli effetti di una “cura” che coinvolgono le emozioni, le ansie, le complesse psicologie individuali; di una cura musicale che interagisce con psicofarmaci e sedativi di varia natura. Evidenzia sul piano metodologico la problematicità di un’analisi dei risultati fatta da soggetti che sono allo stesso tempo terapeuti musicali ed analisti.

L’Autrice sottolinea anche l’impossibilità di stabilire un protocollo musicale e curativo, per almeno due ordini di motivi: ogni paziente è un caso originale ed irripetibile, ma allo stesso tempo è un soggetto in una trasformazione sollecitata anche dall’incontro con il terapeuta musicista. Di conseguenza “ogni volta va ridefinito l’approccio”: tanto nei confronti dello stesso paziente, che fra pazienti diversi, con un atteggiamento di attenzione ed empatia.

Con tutti i possibili limiti e le necessarie precauzioni metodologiche per la complessità e varietà delle persone a cui si rivolge, “La cura Schubert” sembra capace di portare in molti casi sollievo-dal e dimenticanza del dolore, come pure di suscitare slanci vitali. Per questo merita attenzione ed approfondimenti.

Enrico Ferri, professore di Filosofia del Diritto all’ Unicusano

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