Giovanna Cristina Vivinetto, l’insegnante cacciata da scuola perchè trans, non doveva essere licenziata. A dirlo è una sentenza del Tribunale capitolino che dopo tre anni ha “riconosciuto il peso specifico della discriminazione di genere all’interno di un rapporto di lavoro”. Il fatto, avvenuto presso l’istituto paritario Kennedy, nella Capitale, risale al 2019. All’epoca del licenziamento la scuola aveva dichiarato che l’allontanamento della docente dopo solo due settimane di lavoro era stata una decisione legittima legata non al fatto che fosse trangender ma alla qualità del suo insegnamento. Secondo il giudice, però, “può ritenersi adeguatamente provato che le ragioni che hanno indotto la società resistente a risolvere il rapporto di lavoro con la Vivinetto siano ascrivibili proprio alla sua condizione di transessuale”.

Giovanna Cristina Vivinetto, chi è l’insegnante trans cacciata da scuola che ha vinto il ricorso. La storia

L’insegnante non riesce a trattenere la soddisfazione per la sentenza del tribunale e sul suo profilo Facebook scrive: “Mi tremano le mani mentre condivido con voi questa notizia che ha dell’eccezionale: per la prima volta in tribunale è stato riconosciuto il peso specifico della discriminazione di genere all’interno di un rapporto di lavoro, che purtroppo nel nostro Paese è ancora diffusissima e non adeguatamente affrontata”, afferma. “In tutti i modi hanno provato a screditare la persona e la mia professionalità”, continua la Vivinetto, “la loro difesa sosteneva non fossi buona insegnante, nonché persona sessualmente esplicita. Ci hanno provato ma non ci sono riusciti. Le loro testimonianze non sono state in grado di dimostrare il contrario, anzi si sono rivelate utili per rafforzare che non fosse la mia mancata professionalità il motivo del licenziamento”. Ora ’Istituto paritario Kennedy è stato condannato a risarcire la docente con circa 11mila euro, l’equivalente degli stipendi non percepiti dal licenziamento al termine del contratto di collaborazione (che sarebbe scaduto alla fine dell’anno scolastico). Nel 2018, allora venticinquenne, l’insegnante aveva pubblicato ‘Dolore minimo‘, primo testo in Italia ad affrontare in versi la transessualità, e recensito dalle maggiori testate giornalistiche e letterarie. Il libro di poesie con prefazione di Dacia Maraini, la porta a ottenere molti riconoscimenti: vincitrice della VII edizione del premio Cetonaverde Poesia Giovani, della 59°a edizione del premio San Domenichino Città di Massa, del 63° Premio Ceppo Pistoia 2019 Selezione Poesia Under 35 e della 90° Premio Internazionale Viareggio-Rèpaci come Opera prima. E così agli attacchi social, anche di Pro Vita, si era aggiunta poi la triste vicenda del licenziamento. “All’inizio mi dissero che i genitori si erano lamentati del fatto che spiegavo troppo velocemente e che ero indietro nel programma”, racconta. Ma è un ex compagno dell’università, chiamato dalla stessa scuola per un colloquio di lavoro, a raccontare un’altra versione: “L’istituto gli aveva chiesto di togliersi il piercing”, spiega la Vivinetto, “avvisandolo che erano molto rigidi,  tanto da aver licenziato la professoressa di lettere perché transessuale”. L’autogol ha dato inizio alla causa civile che ha portato alla sentenza dello scorso 2 novembre, ma le cui motivazioni sono state rese note solo in questi giorni. “Durante il processo sono stata dipinta da un lato come una scansafatiche e dall’altro come una depravata”, ricorda la professoressa. “Una mamma di un’alunna che non era della mia classe ha testimoniato che la figlia aveva sentito da altre persone che facevo delle domande di natura sessuale ai ragazzi”. La testimonianza, sottolinea la professoressa, non è stata accolta dal giudice. “Ho querelato la signora per diffamazione”, chiarisce Vivinetto che poi aggiunge: “Fa sorridere perché è come l’ignorante medio dipinge la persona transessuale: fissata con il sesso, iper sessualizzata e altri pregiudizi simili”. Oggi Vivinetto è una professoressa di sostegno di ruolo in una scuola media. “È stato difficile all’inizio, perché era la prima volta nella mia vita che venivo discriminata e ho iniziato a guardare l’altro con sospetto”, dice l’insegnante. “Un varco è stato aperto ed è da qui che possiamo fare entrare la luce. Sono una docente degna di rispetto. Sono una donna transgender degna di rispetto. Come dovrebbe essere in ogni caso”, conclude.