A distanza di 16 anni dalla Strage di Erba, parla dal carcere di Opera l’uomo condannato all’ergastolo in concorso con la moglie, Olindo Romano.

I due coniugi sono stati accusati di aver ucciso Raffaella Castagna, il figlio Youssef Marzouk, la madre Paola Galli e la vicina di casa Valeria Cherubini.

Ai microfoni di “Adnkronos”, Olindo Romano ha affermato: “Sono passati sedici anni dalla strage di Erba, ci sto riflettendo parecchio in questi giorni. Forse è arrivato il momento di fare un po’ di chiarezza”.

Strage di Erba, parla Olindo Romano dal carcere di Opera

Recluso nel carcere di Opera, a Milano, l’uomo racconta come sta affrontando la condanna all’ergastolo e continua a respingere ogni accusa:

“In cella la vita è sempre quella, nulla di nuovo. Per passare un po’ il tempo continuo a lavorare in cucina, per il resto sto senza far niente tutto il giorno, spesso in compagnia di qualche altro detenuto costretto come me in questo carcere”.

Olindo parla anche del sostegno del suo avvocato, Fabio Schembri, e spiega che il legale, insieme ai colleghi Nico D’Ascola, Luisa Bordeaux e Patrizia Morello, sta lavorando a una richiesta di revisione del processo alla luce di “nuove prove e un testimone chiave”.

Olindo, inoltre, ha continua affermando che l’avvocato Schembri “è sempre stato convinto della mia innocenza e di quella di Rosa e non è più l’unico, grazie a Dio, a credere che io e mia moglie non abbiamo commesso la strage di Erba”.

Anche a distanza di 16 anni dalla condanna in via definitiva, Olindo Romano continua a difendersi e a negare le accuse, spiegando il suo punto di vista su quel tragico delitto:

“Non so perché non sia stata approfondita la pista dello spaccio di droga, continuo a pensare che sia stato più semplice incastrare due persone come noi non sveglissime e inconsapevoli di quello che ci stava piombando addosso”.

La versione di Olindo Romano: “Siamo stati incastrati”

Per il sessantenne, ex netturbino di Albaredo per San Marco, le accuse contro di lui e contro la moglie non hanno alcun fondamento.

Olindo Romano ha, infatti spiegato ad “Adnkronos”:

“Mi capita di ripensare a quei giorni e a come ci hanno abbindolato e preso in giro tanto che solo quando ci hanno portato al Bassone, la casa circondariale di Como, ci siamo accorti che i sospettati eravamo noi. Da allora tutto è assurdo e continua a essere irreale. Io le liti dalla casa di Raffaella e Azouz le ricordo bene, litigavano spesso, ma non per questo abbiamo pensato di fare una strage. E, in effetti, non c’entriamo nulla. Chi è stato? Non lo so, diversamente lo avrei già detto ai miei avvocati, ma di certo una strage simile può farla solo chi è abituato a fare quelle cose, non penso sia facile improvvisare un fatto del genere così efferato”.

Oggi, Olindo Romano è molto cambiato esteticamente rispetto alle foto che lo ritraggono nel giorno della strage, ha i capelli bianchi ed è dimagrito ma non dimentica quella terribile tragedia e continua a dar voce alla sua verità:

“Frigerio (Mario, marito di Valeria Cherubini e unico superstite, ndr), è stato utilizzato come noi. Ripenso a quell’uomo, quando lo incontravo: era una brava persona, per questo credo che abbiano manipolato i suoi ricordi per farlo testimoniare contro di noi. Io lo considero una vittima come noi”.

Dopo tanti anni da quel drammatico giorno in cui i corpi esanimi delle quattro vittime uccise a colpi di coltello e spranga, furono ritrovati in un lago di sangue nell’appartamento di via Diaz, in preda alle fiamme, Olindo e Rosa Bazzi continua a trascorrere le loro giornate in carcere lontani l’uno dall’altra.

In proposito, Olindo Romano ha concluso, dicendo:

“È dura, ma in qualche modo la vita in carcere va avanti, vedo Rosa appena è possibile. Due giorni prima di Natale sono andato a colloquio da lei a Bollate e sono contento. Mi tiene a galla il pensiero che prima o poi, spero prima che poi, si possa accertare che non abbiamo commesso noi la strage di Erba”.