Luiz Inácio Lula da Silva è ufficialmente il nuovo presidente del Brasile. La cerimonia di insediamento è avvenuta domenica a Brasilia, davanti a decine di migliaia di persone, chiudendo così ufficialmente la stagione (per molti disastrosa) di Jair Bolsonaro. Lula ha ripreso in mano il Paese dopo dodici anni, di cui uno e mezzo trascorso in carcere per un’accusa di corruzione ribaltata dalla Corte suprema. Nel passaggio di consegne non c’era Bolsonaro, che ha lasciato il Paese due giorni prima della fine del mandato, atterrando in Florida, lì dove l’amico Donald Trump ha la sua villa-quartier generale. Proprio come Trump, l’ex presidente brasiliano non ha voluto riconoscere la vittoria dell’avversario, alimentando la rabbia dei suoi seguaci. Anche per questo, la cerimonia di insediamento è stata caratterizzata da imponenti misure di sicurezza e, stando ai media locali, poco prima dell’inizio della cerimonia la polizia militare brasiliana avrebbe fermato un uomo armato di un ordigno esplosivo e di un coltello. 

Lula è ufficialmente il nuovo presidente del Brasile. Chi è, quali sono le sue idee, le accuse di corruzione. Tutto quello che c’è da sapere

Lula diventa presidente per la terza volta nella sua vita, e a vent’anni dall’inizio del suo primo mandato. Vincitore delle presidenziali di ottobre, fino a tre anni fa, colui che Barack Obama definì “il presidente più popolare del mondo”, scontava in una cella brasiliana una condanna a 12 anni per corruzione. Poi il voto, con la vittoria al primo turno delle elezioni presidenziali e la conferma al ballottaggio, ha completato il riscatto politico dell’icona della sinistra latino americana dopo la scarcerazione nel 2019, dopo 580 giorni di detenzione, e l’annullamento delle condanna della Corte Suprema nel 2021. Presidente già per due mandati tra il 2003 e il 2011, il 76enne leader del Partido dos Trabalhadores nella sua campagna elettorale ha fatto perno molto sulla nostalgia per la prosperità e l’enorme crescita economia, favorita anche da fattori congiunturali come il boom dei prezzi delle materie prime esportate dal Brasile, vissuti durante la sua presidenza. Lula ha subito dato un segnale all’Europa di voler invertire la rotta: hainfatti nominato l’attivista dell’Amazzonia Marina Silva ministro dell’Ambiente e del cambiamento climatico e ha scelto Sonia Guajajara, una donna indigena, come primo ministro delle popolazioni indigene del Brasile. Per Silva si tratta di un ritorno all’incarico che l’ha resa famosa per la sua intransigenza verso il business della deforestazione, tanto da dimettersi dopo 7 anni quando, a suo avviso, Lula avrebbe cominciato ad avvicinarsi alle posizioni dell’industria agroalimentare. Dopo oltre un decennio, i due hanno fatto pace, a adesso proveranno a vincere le resistenze della criminalità locale e dei politici pro-Bolsonaro. Per farlo, Lula e Silva potrebbero contare sul sostegno economico proprio dell’Europa: la Germania ha annunciato l’intenzione di finanziare un fondo per l’Amazzonia. In parallelo, la Svezia, che ha in mano la presidenza semestrale dell’Ue, ha messo in agenda il Mercosur con l’obiettivo di arrivare a un accordo entro giugno. Ed è proprio riguardo a quest’ultimo punto che sono riposte le speranze di chi, in Europa, vorrebbe rilanciare il dialogo con Brasilia e chuidere l’accordo commerciale di libero scambio Mercosur (che comprende anche Argentina, Paraguay e Uruguay), congelato anche per lo scontro con Bolsonaro sull’Amazzonia. Durante il suo mandato, l’ormai ex presidente ha preso di mira i proprietari terrieri indigeni e ha incoraggiato l’allargamento degli allevamenti e delle coltivazioni dell’industria agroalimentare, portando a un devastante aumento del 60 percento della deforestazione rispetto ai quattro anni precedenti. La sua ricetta – con una politica economica orientata a programmi sociali con investimenti in sanità, scuola, che fecero uscire dalla povertà estrema 20 milioni di brasiliani e triplicare il numero delle iscrizioni all’università tra gli afro brasiliani – è, secondo gli esperti, quella che ispira la nuova “marea rosa” che sta di nuovo portando governi di centro sinistra in Cile, Colombia, Messico, Perù, Argentina, Bolivia, Panama e Honduras.

La vicenda giudiziaria e la definitiva assoluzione

Un capitolo a parte è la complessa vicenda giudiziaria che ha portato il padre della sinistra brasiliana in carcere per 18 mesi, dopo la condanne per a 12 anni per corruzione nell’ambito dell’inchiesta Lava Jato del giudice Sergio Moro, che poi divenne ministro della Giustizia di Bolsonaro. Fu lo stesso ex presidente nell’aprile del 2018, quando da mesi sondaggi lo davano ampiamente in testa su Bolsonaro, a consegnarsi alla polizia federale fuori dalla sede del sindacato di San Paolo, circondata da migliaia di sostenitori che si opponevano all’arresto.”Io non mi nascondo, non ho paura di loro, rispetterò il mandato”, disse Lula. “Hanno mentito, e quello che non posso perdonare è che hanno trasmesso alla società l’idea che io sia un ladro”, aggiunse, rivendicando la sua innocenza di fronte ad accuse politicizzate. Ed a questa convinzione sono arrivati anche i giudici della Corte Suprema che lo scorso marzo hanno stabilito che il giudice Moro che per primo aveva condannato Lula non era imparziale, annullando tutte le condanne dell’ex presidente, che intanto era stato scarcerato nel 2019 in attesa dei ricorsi giudiziari. Con la decisione della Corte, Lula ha riavuto i suoi diritti politici e la possibilità di ricandidarsi. Prima del pronunciamento della Corte era arrivata l’inchiesta del famoso sito di giornalismo investigativo The Intercept a rivelare chat private, registrazioni audio e video, foto, documenti a prova del fatto che il caso Lava Jeto fu pilotato dal giudice Moro per colpire Lula con l’obiettivo di estrometterlo dalle elezioni.  Lo scorso maggio Lula si è sposato per la terza volta, con Rosangela Silva, una sociologa di 20 anni più giovane di lui, militante del Pt, che durante i 580 giorni di detenzione era andata a trovare l’anziano padre della sinistra brasiliana ogni settimana.