Il tumore della prostata sembra incutere meno paura rispetto a un tempo, soprattutto grazie ai continui progressi della medicina che ne hanno ridotto la mortalità e incrementato l’aspettativa di vita. L’ultima scoperta in ordine di tempo è stata fatta dagli Scienziati dell’Università Cattolica nel campus di Roma in collaborazione con l’Università di Roma Tor Vergata che insieme hanno individuato un meccanismo che favorisce lo sviluppo del cancro della prostata e che, se disinnescato, consente di arrestare la crescita delle cellule tumorali. È il risultato di uno studio (tutto italiano) pubblicato sulla rivista Nature Structural & Molecular Biology e coordinato da Claudio Sette, Ordinario di Anatomia Umana alla Facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università Cattolica, insieme a Pamela Bielli, Associato di Anatomia Umana alla Facoltà di Medicina dell’Università di Tor Vergata, e condotto da Marco Pieraccioli, Dipartimento di Neuroscienze dell’Università Cattolica – Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs. Al centro di questo meccanismo ci sono due molecole, chiamate Sam68 e XRN2 che favoriscono la proliferazione delle cellule della prostata dis-regolando alcune molecole chiave, gli Rna messaggeri (molecole che contengono il codice genetico per la sintesi delle proteine, le stesse divenute famose perché alla base dei vaccini anti-Covid, per intenderci). Gli esperti hanno scoperto nel dettaglio come avviene questa disregolazione degli Rna messaggeri: Sam68 e XRN2 si posano sugli Rna messaggeri e così facendo favoriscono la produzione di Rna più corti e più efficienti che causano la proliferazione del tumore. Poiché è già in uso clinico contro alcune malattie una classe di farmaci detti oligonucleotidi antisenso (una sorta di cerotti genetici che aderiscono agli Rna messaggeri e li disinnescano), è possibile che lo sviluppo di specifici oligonucleotidi antisenso possa impedire questo meccanismo molecolare potenzialmente in grado di favorire il cancro.

Tumore della prostata: cause, cura, aspettativa di vita. Tutti i dati

In Italia il cancro della prostata è il tumore più diffuso nella popolazione maschile e rappresenta il 18,5 per cento di tutti i tumori diagnosticati nell’uomo: le stime relative all’anno 2020 parlano di 36.074 nuovi casi l’anno a livello nazionale. Come in tutti i casi di cancro, anche per quello che colpisce la prostata i controlli sono fondamentali per scoprire questa patologia agli esordi, quando si cura più facilmente. Ma anche quando la si scopre tardi spesso si guarisce. Il tumore alla prostata (da non confondere con l’ipertrofia prostatica, ossia l’ingrossamento benigno di tale ghiandola, che è una condizione tipica degli uomini una volta superata la soglia dei 50 anni), è una patologia maligna che colpisce questa ghiandola dell’apparato genitale maschile e che tra le sue funzioni ha anche quella di contribuire alla produzione di sperma. Anche se sono state formulate diverse ipotesi sulle possibili origini di questo tumore (obesità, consumo eccessivo di grassi animali, scarsa attività fisica), a oggi non è stata individuata la vera causa. Diversamente dall’ipertrofia, il tumore alla prostata non è contraddistinto da alcun sintomo dal momento che le cause restano sconosciute, non ci sono indicazioni particolari per prevenirlo. Proprio perché è impossibile una prevenzione primaria è fondamentale una prevenzione secondaria, che consiste nell’eseguire i controlli per diagnosticare la patologia negli stadi iniziali. Se si hanno casi di tumore alla prostata fra consanguinei ci si dovrebbe far visitare dall’urologo a 45 anni, mentre se non se ne hanno il controllo va previsto a 50 anni: è lo stesso ragionamento che si segue per la prevenzione del cancro al seno nelle donne. A seconda che sia diffuso solo all’interno della ghiandola o anche al di fuori, si è soliti distinguere quattro stadi del tumore (dal meno severo a quello più aggressivo). Ed è proprio seguendo questa classificazione che si decide la cura. Se la malattia non si estende oltre la ghiandola la si può curare con tecniche chirurgiche poco invasive, che prevedono l’uso di robot. Se invece al tumore sono seguite metastasi, la cura iniziale consiste nell’ormonoterapia, che ha come bersaglio gli ormoni sessuali maschili. Se necessario, è solo in un secondo momento che si ricorre alla chemioterapia. Individuando precocemente questo tumore, infatti, la percentuale della sopravvivenza dei pazienti ha raggiunto oltre il 90% a 5 anni dalla diagnosi.