Vladimir Putin ha firmato la legge anti LGBT. Con quest’ultima mossa, il presidente russo sferza un duro colpo alla libertà d’espressione, oltre che alla libertà di parola. Da questo punto in poi, le parole “gay” e altre parole che fanno riferimenti a relazioni sessuali “non tradizionali” non saranno più pronunciabili, altrimenti si rischia una multa. Secondo gli osservatori, Putin ha lanciato una sfida all’Occidente, i cui valori, sostiene, stanno contaminando la tradizione della Russia. Russia che continua ad attaccare l’Ucraina, come testimoniano le cronache che tutti noi conosciamo fin troppo bene.

Vladimir Putin legge LGBT: come nasce e cosa prevede

La legge che, secondo i proponenti, vieta la “propaganda LGBT”, è stata approvata dalla Duma il 24 novembre scorso. Tuttavia, entra in vigore solo oggi, in quanto il presidente ha posto la sua firma in data di ieri, pur avendone fatto cenno, alla cerimonia dell’annessione di quattro regioni ucraine. La norma prevede il divieto, su qualsiasi mezzo di comunicazione tradizionale o digitale, di pronunciare, esporre o alludere a qualsiasi cosa che faccia riferimento a relazioni sessuali “non tradizionali”. Oltre alle parole “gay” e altre, non si possono nemmeno descrivere scene di amori tra omosessuali, e nemmeno alluderle con allegorie e vari mezzi retorici. I trasgressori rischiano una sanzione amministrativa da 5 a 10 milioni di rubli. Il primo caso riguarda la semplice “propaganda”, mentre il secondo riguarda proposte di sesso esplicite di quelle non consentite. La legge mette sullo stesso piano l’amore omosessuale con la pedofilia, a dimostrazione del suo carattere “restrittivo”.

Vladimir Putin legge LGBT: il pericoloso precedente del 2013

La “propaganda LGBT” è nel mirino del regime già da tempo, Facendo un passo indietro, all’anno 2013, troviamo un tentativo di approvare una legge che impediva di fatto ogni manifestazione a diritto dell’omosessualità e della diversità in generale. Ufficialmente, la norma serviva per tutelare i minori, ma in realtà era l’ennesimo attacco ai diritti fondamentali. Non a caso, la corte di Strasburgo la bocciò definendola lesiva per la dignità personale, nonché discriminatoria. Ma evidentemente, ciò non ha fermato l’involuzione del regime, ormai sempre più isolato e accerchiato. Non è escluso neanche che questa mossa abbia un fine di distrazione, verso quella “operazione militare speciale” che non starebbe andando secondo i piani di Putin.

Una sfida all’Occidente

Con questo secondo tentativo, Putin lancia una sfida a quell’Occidente con il quale si sta scontrando per la questione ucraina. Lo dimostra il fatto che l’approvazione della legge (fatta dal parlamento a novembre) sia stato preceduto da un discorso in cui Putin già accennava al “problema”. Era il 30 settembre scorso, ed il presidente aveva organizzato una cerimonia per l’annessione di ben quattro regioni ucraine. In quella occasione, Putin aveva compattato le file dei russi, chiamando la necessità di difendere i valori della tradizione dagli attacchi dell’Occidente peccaminoso e in decadenza. Particolarmente significativo è un suo passaggio: “Vogliamo che in Russia ci siano il genitore 1 e il genitore 2 invece di mamma e papà?“, domandava lo zar. “Siamo completamente impazziti?“.

Libertà di espressione a rischio

La legge anti LGBT che Vladimir Vladimirovic Putin ha firmato mette a rischio la libertà d’espressione, in due modi. Il primo, è che la comunità oggetto della segregazione non potrà esprimere la propria dignità, un po’ come negli anni ottocenteschi in cui le coppie gay dovevano tenere nascoste le loro relazioni per evitare guai. Ma anche la comunità degli scrittori e degli sceneggiatori potrebbe subire conseguenze. Dalle colonne del Messaggero, il critico Anton Dolin afferma che, per effetto di questa legge, molte opere di autori famosi come Hitchcock e Fellini non potranno essere più viste in Russia. Tra le altre cose, questa sarebbe anche la versione “buona” della legge, essendo che, nella bozza, si prevedeva la sanzione penale, ossia il carcere, in caso di recidiva. Alla fine, quel comma è stato stracciato, ma molti osservatori avvertono: potrebbe tornare da un momento all’altro.