Detenuto aggredito Reggio Calabria. Il pestaggio, avvenuto lo scorso 22 gennaio all’interno dell’Istituto penitenziario Panzera, ha portato alla condanna di sei agenti, incluso il comandante di reparto, ora ai domiciliari: le accuse sono di tortura e lesioni personali aggravate. Dopo il pestaggio, le guardie carcerarie avevano cercato di nascondere l’accaduto; alla fine a tradirle sono stati i filmati delle videocamere di sorveglianza e le denunce dei detenuti e delle loro famiglie, che hanno raccontato alla magistratura delle violenze e degli abusi subiti. Ma ci sarebbero anche altri indagati e l’indagine sulla struttura di detenzione, già in precedenza sotto i riflettori, potrebbe quindi allargarsi ulteriormente.

Detenuto aggredito Reggio Calabria: sei agenti ai domiciliari

Hanno massacrato di botte, con pugni e manganellate, un detenuto campano, decidendo in maniera autonoma di metterlo in isolamento e hanno poi aggiustato carte, relazioni e referti per nascondere il pestaggio. Ora sono chiamati a rispondere davanti al giudice di torture e lesioni personali aggravate. I fatti, che hanno coinvolto un gruppo di agenti della Polizia penitenziaria dell’Istituto Panzera di Reggio Calabria, si sono verificati il 22 gennaio 2022, lo stesso giorno della visita dell’ex ministro della Giustizia Marta Cartabia. Mentre la guardiasigilli inaugurava l’anno giudiziario, all’interno del carcere il detenuto Alessio Peluso aveva messo in atto una protesta, rifiutandosi di far rientro nella cella dopo aver usufruito dell’ora d’aria, il cosiddetto “passeggio esterno”.

La reazione della guardie carcerarie, stando a quanto verificato dalle indagini della Squadra mobile, sarebbe stata brutale. Dopo essere stato colpito ripetutamente con i manganelli in dotazione di reparto e con dei pugni, il giovane detenuto sarebbe stato costretto a trascorrere due ore seminudo all’interno della cella, in pieno inverno, al gelo. Ma non è tutto. Gli agenti, come si legge nell’ordinanza, “conducevano illegalmente il detenuto in una cella di isolamento, senza alcuna preventiva decisione del Consiglio di disciplina ovvero senza alcuna previa decisione adottata in via cautelare dal direttore, serbando gratuite condotte di violenza e di sopraffazione fisica che cagionavano al detenuto acute sofferenze fisiche mediante più condotte e sottoponendolo ad un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona”.

Tra i soggetti arrestati, sei in totale – mentre due sono stati sospesi -, ci sarebbe anche il comandante del reparto, Stefano La Cava, al quale, oltre alle accuse di tortura e lesioni personali aggravate, vengono contestati i reati di falso ideologico commesso da pubblico ufficiale in atto pubblico, falso ideologico commesso da pubblico ufficiale in atto pubblico per induzione, omissione d’atti d’ufficio, calunnia e tentata concussione. Quest’ultima accusa è scattata perché La Cava avrebbe tentato di costringere, illegalmente, un suo sottoposto a mostrargli delle relazioni di servizio relative alla sorveglianza dello stesso detenuto. Quando le indagini sono partite, dopo la denuncia da parte di alcuni familiari del detenuto – che hanno raccontato ai magistrati degli abusi e delle violenze che quest’ultimo aveva subito e riferite loro tramite colloqui telefonici – tutti hanno tentato di coprire il pestaggio, ma alla fine i filmati delle videocamere di sorveglianza hanno parlato, così come la vittima e altri detenuti, incastrando i colpevoli, oggi tutti ai domiciliari. Ma gli indagati, che nei prossimi giorni dovranno essere sentiti dal giudice per le indagini preliminari, sono anche altri e l’inchiesta potrebbe quindi allargarsi ulteriormente.

Non è la prima volta, del resto, che l’Istituto carcerario in questione finisce sotto i riflettori per fatti di questo tipo: già l’ex direttrice Maria Carmela Longo, nel 2020, era stata arrestata per concorso esterno in associazione mafiosa per aver di fatto delegato la gestione del penitenziario a boss e luogotenenti dei clan che vi erano detenuti e a cui tutto era permesso.