1 novembre 2022, anniversario morte Alda Merini.

Era il 1 novembre 2009 quando, all’età di 78 anni, una delle più grandi poetesse italiane ci lasciava, nella sua Milano, dopo essere stata ricoverata per una decina di giorni a causa di un tumore osseo. Viveva in condizioni di indigenza – per scelta -, dopo aver cantato per anni l’esclusione e la malattia mentale che l’avevano toccata da vicino. “Viene meno un’ispirata e limpida voce poetica”, erano state le parole dell’allora Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Sono passati ormai 13 anni, ma il suo ricordo non cessa di essere vivo.

Anniversario morte Alda Merini: sono passati 13 anni dalla scomparsa della poetessa

Nata nel 1931 a Milano da una famiglia poco abbiente (il padre era impiegato in una compagnia di assicurazione, la madre casalinga), Alda Merini esordisce appena quindicenne con la raccolta “La presenza di Orfeo” curata dall’editore Schwarz. “Ragazza sensibile e dal carattere malinconico, piuttosto isolata e poco compresa dai suoi genitori”, come amava dire di lei, inizia fin da subito ad attirare l’attenzione della critica, mentre a scuola incontra non poche difficoltà, venendo respinta quando tenta di essere ammessa al liceo Manzoni, non superando la prova di italiano.

Inizia così la sua esistenza in bilico tra il riconoscimento delle sue capacità poetiche eccezionali e l’esclusione, visto che nel 1947 è costretta al ricovero a causa della sua malattia mentale. Due temi che nella sua poesia non sono mai mancati; ma le “ombre della mente”, come le chiamava, e di cui ha spesso scritto, le hanno permesso di imparare a convivere con il dolore e di scandagliare l’animo umano. Una condizione che condivide, in vita, con maestri del calibro di Quasimodo, Montale e Manganelli, che la sostengono e promuovono per la pubblicazione delle sue opere.

Dopo “La presenza di Orfeo” e alcune poesie singole apparse in diverse antologie, escono “Nozze romane” e “Paura di Dio”, ma anche “Tu sei Pietro” del 1961, dedicata al pediatra della figlia Emanuela, avuta qualche anno prima con Ettore Carniti, diventato suo marito nel 1953. L’inizio di una carriera di successo, costellata di non poche difficoltà, come i frequenti ricoveri e ritorni a casa: esperienze che più tardi la poetessa racconterà in poesie e prosa ne “La Terra Santa”. Rimasta vedova nel 1981, si risposa con Michele Pierri e con lui si trasferisce per un periodo di tempo a Taranto, prima di tornare definitivamente nella sua Milano, quella che le regalerà l’appellativo di “poetessa dei Navigli”, dal titolo di una sua opera.

“Sono una piccola ape furibonda”, diceva di sé stessa, mostrandosi spesso con i capelli scarmigliati e la sigaretta in mano, facendosi sentire con la voce arrochita dal fumo. E così si raccontava in un’intervista rilasciata ad Antonio Gnoli per Repubblica all’uscita dalla malattia che per tanto tempo l’aveva accompagnata:

Per me guarire è stato un modo di liberarmi del passato. Tutto è accaduto in fretta. L’ultima volta che sono stata all’Istituto che mi aveva in cura per depressione mi è accaduta una cosa che non avevo mai provato. Una mattina mi sono svegliata e ho detto: che ci faccio io qui? Così è davvero ricominciata la mia vita. Ho ripreso a scrivere e ho perfino trovato quel successo che non avrei mai pensato di ottenere […]. Il successo è come l’acqua di Lourdes, un miracolo. La gente applaude, osanna e ti chiedi: ma cosa ho fatto per meritare tutto questo? Penso che la folla, anche piccola, che ti ama ti aiuta a vivere. In fondo un poeta ha anche qualcosa di istrionico e di folle. Per questo il manicomio è stato per me il grande poema di amore e di morte. Ma anche questo luogo oggi è distante. Mi capita a volte di rivederlo in sogno. Io sogno tantissimo. E tra i sogni ne ricorre uno: sono dentro a un luogo chiuso, e io che cerco le chiavi per uscire. Forse sono mentalmente ancora in quel luogo che mi ha ucciso e mi ha fatto rinascere. Mi sento una donna che desidera ancora. Oggi per esempio vorrei che qualcuno mi andasse a comprare le sigarette. Non ho mai smesso di fumare, né di sperare.

Tra noi, nonostante la sua scomparsa, non ha mai smesso di far sentire la sua voce.