L’ex comandante della Costa Concordia Francesco Schettino, che sta scontando a Rebibbia la pena di 16 anni e un mese per il naufragio della nave di crociera che nel 2012 costò la vita a 32 persone, potrebbe ora uscire dal carcere. Il motivo sarebbe un nuovo lavoro, presso l’Istituto centrale per i beni sonori ed audiovisivi di Stato, dove l’uomo dovrebbe occuparsi dell’archiviazione digitale dei processi, in particolare quello per la strage di Ustica.

La richiesta di misure alternative per Schettino

Avendo scontato la metà della pena, Schettino ha infatti maturato il termine che gli permette di accedere a misure alternative. Così per l’uomo, che all’interno della casa circondariale romana è impegnato da anni in lavori socialmente utili, è arrivata la richiesta, avanzata dalla direzione del penitenziario, di rilascio. L’uomo potrebbe così uscire dal carcere, per dedicarsi a un nuovo lavoro e “dare il proprio contributo alle istituzioni”: sarebbe impegnato nell’ambito della Discoteca di Stato, l’Istituto centrale per i beni sonori e audiovisivi, per la digitalizzazione delle carte di alcuni grandi processi storici, che vanno preservate dall’incuria del tempo. Sembra, secondo quanto rilevato da alcune fonti vicine all’ex capitano, che si tratterebbe in particolare di dati relativi al processo per la strage di Ustica. Non è un’attività riservata solo a Schettino, perché misure del genere sono assegnate a tutti i detenuti meritevoli e capaci, che vengono formati da esperti archivisti e poi seguiti in ogni fase del lavoro. Una nuova responsabilità, quindi, per Schettino, che lo scorso luglio si è visto respingere dalla Corte europea dei diritti dell’uomo la richiesta di revisione del processo.

Naufragio Costa Concordia: le tappe della vicenda

I guai per l’ex capitano iniziano il 13 gennaio del 2021. Schettino è al comando della nave da crociera Costa Concordia e, giunto nelle acque dell’arcipelago toscano, decide di fare un cambio di rotta per eseguire un “inchino” (una pratica usuale in ambito navale, che consiste in una sorta di saluto a chi osserva da terra): la nave si avvicina però troppo all’Isola del Giglio e tocca gli scogli, che provocano la parziale sommersione della nave. Le operazioni di salvataggio dei passeggeri iniziano in ritardo perché dalla plancia di comando, incalzati dalla Capitaneria di porto, il comandante Schettino e i suoi ufficiali negano la gravità dell’incidente: sono in 32 a perdere la vita, mentre 157 persone rimangono ferite. Per l’uomo, dopo varie indagini, la sentenza arriva nel 2015. La condanna è di 16 anni e un mese di reclusione (la Procura ne aveva chiesti 26) e viene confermata sia in Appello che in Cassazione, per i seguenti capi di imputazione: omicidio colposo plurimo, naufragio colposo e abbandono della nave. I legali difensori di Schettino hanno poi presentato un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, lamentando una serie di violazioni fondamentali nei confronti dell’imputato, che sarebbero avvenute nel corso dei procedimenti precedenti; ricorso negato lo scorso luglio, quando la Cedu ha ritenuto opportuno concludere che la condanna dell’ex comandante non avesse violato alcun diritto e che il caso non fosse meritevole di ulteriori approfondimenti.