L’Unione europea, se messa alle strette, può intervenire in tre modi contro l’Ungheria per la sistematica violazione dello stato di diritto.

Due sono in mano alla Commissione europea: il meccanismo di condizionalità dei fondi allo stato di diritto (finora mai applicato) e la bocciatura del Piano nazionale di ripresa e resilienza (quello ungherese è l’unico non ancora approvato). Il Consiglio ha invece in mano il più estremo dei provvedimenti, l’articolo 7 del Trattato che prevede la sospensione dei diritti al Consiglio (l’Ungheria non potrebbe più partecipare ai voti) mantenendo però gli obblighi, ad esempio quelli finanziari (quindi dovrà continuare a contribuire economicamente).

Il meccanismo di condizionalità allo stato di diritto, in vigore dal primo gennaio 2021, prevede che i pagamenti del bilancio dell’Ue possono essere sospesi per gli Stati membri in cui vengono accertate violazioni dello Stato di diritto che compromettono la gestione dei fondi dell’Unione. Tuttavia, va garantito che i beneficiari finali, i cittadini ungheresi in questo caso, non finiscano per pagarne il conto. 

Lo stop ai fondi

Dopo aver accertato l’avvenuta violazione, la Commissione propone l’attivazione del meccanismo e, successivamente, taglia o congela i pagamenti a quello Stato membro dal bilancio europeo. Il Consiglio dispone quindi di un mese di tempo per votare sulle misure proposte dalla Commissione (o tre mesi in casi eccezionali), a maggioranza qualificata.

La Commissione potrebbe tagliare alcuni fondi all’Ungheria già domenica, quando si riunirà il Collegio dei commissari in via straordinaria a causa degli impegni della presidente Ursula von der Leyen.

Il commissario al Bilancio, l’austriaco Johannes Hahn, responsabile del delicato dossier, ha già inviato una lettera alla Commissione in cui rileva “una sistematica incapacità, involontà o riluttanza, da parte delle autorità ungheresi, di impedire decisioni contrarie alla legge, in materia di appalti pubblici e conflitti di interesse, e quindi di affrontare adeguatamente i rischi di corruzione”. 

Hahn ritiene che “il rischio finanziario per la sana gestione finanziaria del bilancio dell’Unione possa essere considerato molto significativo, giustificando un livello molto elevato di impatto finanziario per le misure” e quindi propone di “tagliare il 70% dei fondi europei per i programmi interessati (circa 5,8 miliardi di euro). Secondo alcune stime l’Ungheria dovrà fare a meno del 20% di tutti i fondi che le spetterebbero per il settennato 2021-2027 che ammontano a 20 miliardi di euro.

L’attivazione dell’articolo 7 del Trattato

È lo strumento nelle mani del Consiglio ed è il più estremo, una specie di atomica nelle relazioni interni tra i Ventisette. Prevede la possibilità di sospendere i diritti di adesione all’Unione (ad esempio il diritto di voto in sede di Consiglio) in caso di violazione grave e persistente dei principi su cui poggia l’Unione (libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell’uomo, delle libertà fondamentali e dello stato di diritto). Restano per contro impregiudicati gli obblighi che incombono al Paese stesso. La procedura è stata già avviata, nel 2018, su richiesta del Parlamento contro l’Ungheria (e contro la Polonia).

Il Consiglio ora, deliberando a maggioranza dei quattro quinti dei suoi membri, può constatare che esiste un evidente rischio di violazione grave dei principi fondamentali da parte dell’Ungheria e rivolgergli le appropriate raccomandazioni. Finora il Consiglio non ha ancora fatto il delicato passo, nonostante le pressioni del Parlamento. L’ultima giovedì quando ha approvato un rapporto in cui l’Ungheria viene definita un “regime ibrido di autocrazia elettorale“, ovvero un sistema costituzionale in cui si svolgono le elezioni ma manca il rispetto di norme e standard democratici.