Consociativismo e trasformismo. E ancora: cambi di casacca e tradimenti. Oppure, più populisticamente, inciuci di palazzo. Sono tante le parole – talune tecniche altre più folkloristiche – che descrivono una parte sempreverde della politica: le giravolte. Non c’è stato politico in Italia che non ne abbia condannato il ricorso salvo poi, in preda alla realpolitik, tornare sui propri passi. Volente o nolente i partiti, per sopravvirere e per perseguire i propri obiettivi, sono chiamati a cambiare idea su certe questioni. Finanche a dialogore con chi, prima, sembrava un interlocutore impensabile. È la politica, bellezza.

Di tutto questo abbiamo avuto un saggio anche nella preparazione alla campagna elettorale, in vista delle politiche, che stiamo ora vivendo. Calenda con Bonino, anzi con Letta, anzi con Renzi. Letta con Conte, anzi con Calenda, anzi con Fratoianni e Bonetti. E così via, senza rivivere ora la cronistoria. Quello che vale la pena raccontare – o meglio, ipotizzare – e cosa ne sarà di queste coalizioni elettorali all’indomani del 25 settembre.

La credibilità delle coalizioni elettorali

Le regole del gioco, il Rosatellum, lo abbiamo detto in tutte le salse: mettono i partiti nella condizioni di dialogare tra loro. Da qui le consultazioni tra le parti. Da qui la pace nel centrodestra: le cose, all’interno della coalizione, non andavano benissimo. Ripensiamo all’elezione del Presidente della Repubblica che ha spaccato i partiti al loro interno. Per non dimenticare, poi, il più ovvio dei fatti storici: solo due su tre dei big del centrodestra hanno appoggiato il governo Draghi. Anche in queste ore si intravedono differenze, come nell’ambito di un eventuale scostamento di bilancio. La stessa Meloni, nel corso del dibattito con Letta, ha più volte evidenziato che Fratelli d’Italia ha un programma autonomo da quello degli altri partner. Come a voler rimarcare una differenza di vedute, almeno su alcune questioni. Quelle che, presumibilmente, vorrà imprimere qualora dovesse diventare lei la Premier.

Non minori sono le contraddizioni messe in evidenzia da Enrico Letta. Il Segretario del PD, in un passaggio, ammette senza troppi giri di parole che quella con Sinistra Italiana ed Europa Verde non è nulla più che un’alleanza elettorale: “Non faremo un governo con loro”. E con chi, allora? E soprattutto: quale credibilità ha la coalizione che si chiede di votare? La risposta, nemmeno troppo celata, sta tra le piaghe dell’intera campagna: scegli. Il PD ne fa una questione di campo: o con noi o con Meloni. Ecco allora che il motivo di questa alleanza assume un senso: non chiediamo il voto per, ma il voto contro. Contro la destra.

Calenda ha optato per l’allenza con Renzi, anche questa non priva contraddizioni visto il reiterato no che il leader di Azione ha riservato nei mesi scorsi a quello di Italia Viva. Aspetto che non ha mancato di sottolienare Conte in un post.

E veniamo proprio al Movimento 5 Stelle che dopo il salto dal gialloverde al giallorosso, si è preso una pausa da tutto e tutti correndo da solo. Il campo giusto, recita il claim grillino. Una scelta coraggiosa che i sondaggi – prima che ne venisse sospesa la diffusione in ottemperamento alla legge par condicio – stavano anche premiando. Ma dopo le elezioni c’è il problema della governabilità: se il M5s vuole governare, dovrà tornare a dialogare. Magari anche con quelli che “con loro mai”. Perché è così che funziona. Perché forse è proprio in questo mutare per sopravvivere, che si nasconde la credibilità delle coalizioni.