Volano stracci tra il ministro del Lavoro Andrea Orlando e il presidente di Confindustria Carlo Bonomi. L’esponente democratico ha rilasciato un’intervista a “La Stampa” replicando alle parole del leader degli industriali pronunciate durante il convegno di Assolombarda. Orlando rimarca come anche le imprese dovrebbero fare la loro parte, senza limitarsi a chiedere al governo interventi strutturali.

Orlando a Bonomi: “Su di me dette tante falsità”

Il ministro del Lavoro Andrea Orlando risponde dalle colonne de “La Stampa” alle parole di Carlo Bonomi, numero uno di Confindustria. In breve, il delegato del governo chiede alle imprese di lavorare su nuovi contratti, nel contrasto al fenomeno del precariato, e sul ritocco al rialzo degli stipendi:

Il nostro Paese paga la poca competitività rispetto a cui si è agito attraverso una flessibilizzazione del costo del lavoro. Oggi possiamo dire che questa strategia non ha funzionato. Allora bisogna ragionare diversamente, perché se è vero che c’è un tema di pressione fiscale è altrettanto chiaro che il raffronto salariale con Paesi analoghi è impietoso. Non è corretto recriminare solamente sul taglio del cuneo fiscale, così non risolverebbe la questione, siamo il Paese con la più alta percentuale di lavoro “in nero“.

Poi l’affondo diretto a Bonomi:

Nessuno vede le imprese come dei bancomat da spremere fino all’ultimo centesimo. Credo non abbia apprezzato il tema del rinnovo dei contratti e dei salari, un problema che anche l’Europa cerca di risolvere. Forse per Bonomi sono solo un bersaglio nella sua polemica, altrimenti vorrebbe dire che non è al corrente dei fatti. Ho letto e sentito un sacco di menzogne nei miei riguardi“.

Esaurito il duello a distanza, si passa al concreto:

La politica ha il dovere di assumere l’iniziativa e di dare soluzioni. Sulla proposta legata al salario minimo trovo corretto poter estendere l’applicazione del trattamento economico complessivo a tutti i lavoratori di quel settore. Mediamente le imprese europee sono più grandi delle nostre, tuttavia la loro produttività è cresciuta più che da noi in rapporto. E da noi gli stipendi sono aumentati meno della produttività. Ma non è solo una questione salariale, bensì anche contrattuale“.