L’attentato di Capaci, oltre a stravolgere l’immagine della mafia all’opinione pubblica, diede vita al 41-bis. Un paio di mesi dopo la strage venne estesa la possibilità di applicazione della norma dell’ordinamento penitenziario che regola il cosiddetto “carcere duro”, anche ai detenuti per crimini di mafia. Nel tempo, però, questa pena è stata al centro di numerosi dibattiti.  Per molti, infatti, risulta tutt’ora determinante per contrastare la criminalità. Per altri, invece, è una norma di dubbia costituzionalità, in quanto rappresenterebbe un trattamento “contrario al senso di umanità” e che non tende “alla rieducazione del condannato”.

La storia della norma “carcere duro”, conosciuta anche come 41-bis

La norma “carcere duro”, in realtà nacque prima del 1992. Nel 1986, infatti, venne approvata la legge Gozzini, che introduceva uno speciale regime di detenzione. Questa legge introduceva nell’ordinamento che: “in casi eccezionali di rivolta o di altre gravi situazioni di emergenza, il ministro di Grazia e Giustizia ha facoltà di sospendere nell’istituto interessato o in parte di esso l’applicazione delle normali regole di trattamento dei detenuti e degli internati. La sospensione deve essere motivata dalla necessità di ripristinare l’ordine e la sicurezza e ha la durata strettamente necessaria al conseguimento del fine suddetto.” In particolare l’articolo in questione era appunto il 41-bis.

Ad apportare un’importante novità fu la legge Martelli-Scotti. Grazie a questo nuova direttiva, anche i detenuti per reati di mafia potevano essere processati con questo ordinamento. Lo scopo principale era quello di impedire ai detenuti di parlare con l’esterno, rendendogli la vita il più dura possibile. L’unico modo per avere dei benefici penitenziari era la collaborazione con la giustizia. Inizialmente sarebbe dovuta dura solamente tre anni. Ma la misura venne prorogata una prima fino al 1999, poi fino al 31 dicembre 2000 e successivamente al 2002. Successivamente subì una modifica nel 2009, trasformandolo il 41-bis nella misura cautelare che è oggi. La durata è di quattro anni, ma ci possono essere poi proroghe di due anni ciascuna. I primi centri di detenzione vennero istituiti sulle isole di Pianosa e dell’Asinara. Lo scopo era appunto quello di reprimere ogni possibile contatto con l’esterno.

Sono molti i detenuti che, nel corso degli anni, hanno fatto ricorso contro il 41-bis. Sono stati sollevati dubbi di costituzionalità, se adottato per periodi molto lunghi. Tutte le volte in cui la Corte Costituzionale e la Corte europea per i diritti dell’uomo (Cedu) sono state chiamate a valutare la norma ne hanno decretato, di per sé, la legittimità. Ma sono state a volte sanzionate specifiche applicazioni. Ma la Cedu nel 2018 condannò l’Italia per aver rinnovato, dal 2006 fino alla sua morte, il regime carcerario per Bernardo Provenzano, boss della mafia dei corleonesi. Per i giudici di Strasburgo il ministero della Giustizia italiano aveva violato l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo riguardante la proibizione di trattamenti inumani o degradanti.

Le controversie

L’avvocato Aufiero, parlando al ‘Riformista’ disse: “Questo provvedimento dimostra che il nostro sistema giuridico, e penitenziario in particolare, è indecente. Sono senza parole: come si può pensare che un uomo di 80 anni con uno stato patologico conclamato e una grave disabilità mentale possa continuare a mantenere indisturbato i contatti con l’esterno? Non mi resta che dire che siamo in presenza della stessa inciviltà giuridica di quando si condannava alla pena di morte un disabile mentale che aveva commesso un reato senza rendersene conto.” 

Ma oltre alle polemiche legate ai singoli casi, il 41-bis ha creato due fronti contrapposti. Vincenzo Musacchio ha scritto che “non vi è alcuna forma di violazione dello Stato di diritto poiché da un lato offre la possibilità al condannato di uscire da quel regime iniziando a collaborare con la giustizia e dall’altro ogni singola applicazione del 41-bis è sottoposta all’esame di un giudice in ossequio al principio di legalità e di giurisdizione.” 

Pensiero opposto, invece, per l’avvocato penalista Davide Steccanella, difensore, tra gli altri, dell’ex terrorista Cesare Battisti. “Il provvedimento nacque dopo l’assassinio di una figura gigantesca della lotta alla mafia come Giovanni Falcone, eppure il 41-bis è uno stupro alla civiltà giuridica, una norma che ci riporta a condizioni carcerarie medievali. Vanno applicate le pene giuste senza mai scordarsi l’obiettivo del recupero sociale del condannato. Non mi piace uno stato che estorce la collaborazione con la tortura. Inoltre è un provvedimento emergenziale, ma non si può sempre ragionare come se l’emergenza fosse perenne.”

Una forma restrittiva, nata a seguito di una delle più tragiche stragi italiane e creata proprio per contrastare la mafia, ma che, trent’anni dopo, continua a raccogliere moltissime controversie.