Sì, la scuola è tutta un quiz. E parliamo sia delle sorti dei docenti precari, a volte giovani a volte meno, che periodicamente si sottopongono al concorso sia, in questo specifico caso, della prova in sé.

Concorso docenti, il 90% bocciato agli scritti

Questi sono infatti i giorni del Concorso ordinario per diventare insegnanti di scuole medie e superiori, indetto nel 2020 e rinviato causa covid. 500 mila candidati per 30 mila posti.

La prova scritta in particolare, in svolgimento fino al 13 aprile, si compone di 50 domande su contenuti disciplinari, competenze informatiche e linguistiche. Risposta multipla, quattro opzioni di cui solo una quella corretta, da svolgere in massimo 100 minuti.

Ma finora nove candidati su dieci non ce l’hanno fatta. E la colpa, secondo esaminandi, sindacati e Codacons è di quesiti “trabocchetto”, “ostici”, “ingannevoli”, in alcuni casi addirittura errati, per nulla idonei a testare le effettive capacità né attinenti al lavoro che gli stessi saranno chiamati a svolgere come insegnanti.

Diventato famoso l’errore sull’art. 34 della Costituzione che si son ritrovati i candidati per i posti di sostegno.

Secondo il Ministero la risposta corretta sarebbe stata “la libertà di insegnamento“, affermazione che ha suscitato pesanti polemiche sulla sua correttezza. Secondo i candidati, invece, l’articolo 34 riguarda l’obbligatorietà della scuola e la sua gratuità, nonché la valorizzazione dei capaci e meritevoli. Sarebbe invece l’articolo 33 a descrivere la libertà dell’insegnamento. Quindi, secondo i docenti, nelle opzioni di risposta elencate non sarebbe presente alcuna risposta corretta.

Ma questo sarebbe solo la punta dell’iceberg. Certo è che la prova è finita nella bufera dei social e nelle beghe politiche. Ora la parola passa al Tar del Lazio. Chiamato a pronunciarsi sul ricorso presentato dall’associazione dei consumatori in favore dei docenti che non hanno superato la prova scritta.

Da questa storia emergono due singolari paradossi. Il primo è che i docenti, ai quali si chiede di valutare i propri studenti in base alle competenze, sono invece scremati in base alle conoscenze. Come imbuti ops, vasi da riempire. Il secondo paradosso è che molti bocciati ritornano comunque in cattedra, seppur come supplenti, a svolgere con professionalità e passione il proprio lavoro e a sorreggere le barcollanti colonne della scuola pubblica italiana.

Leggi anche: Scuola, ripartono le gite