Valore legale del titolo di studio: tutte le conseguenze dell’abolizione. Salvini: “E’ ora di metterci mano”. Bussetti: “Se ne discute da anni, per ora non è in programma”. Ma Pittoni replica: “Abolirlo, i genitori agognano solo il pezzo di carta”.

“Negli ultimi anni la scuola e l’università sono stati serbatoi elettorali e sindacali: ecco perché l’abolizione del valore legale del titolo di studio è una questione da affrontare”. Sono queste le parole pronunciate dal Ministro dell’Interno Matteo Salvini ai giovani della scuola politica della Lega e sono state più che sufficienti per riaprire un dibattito che torna in auge per l’ennesima volta nel nostro Paese. L’intenzione del Vicepremier non trova tutti i partners politici perfettamente allineati, con lo stesso Ministro Bussetti, sempre in quota Lega, che afferma: “In questo momento non è in programma, non è detto che poi possa essere analizzato”.

Il numero uno di viale Trastevere si espone anche rispetto alla necessità manifestata da Salvini di riformare scuola e università: “Riforme no – ha detto Bussetti – stiamo attuando delle modifiche: dobbiamo creare maggiore semplicità e dare certezze e percorsi giusti e mirati per arrivare ad ottenere quello di cui la scuola ha bisogno e per il bene degli studenti”.

A far da eco a Salvini è invece il Senatore Mario Pittoni, Presidente della Commissione Cultura al Senato: “I genitori spingono i ragazzi a conquistare pezzi di carta, quando si arriverà all’abolizione del valore legale del titolo di studio potrebbe cambiare anche la mentalità dei genitori”. C’è chi lo fa per eliminare “i serbatoi elettorali che sono diventati la scuola e l’università” e chi “per cambiare la mentalità dei genitori” ma alla fine, se lo si chiede ai docenti (lo ha fatto attraverso un sondaggio la rivista digitale di settore OrizzonteScuola.it), il 90% di essi non vorrebbe veder abolito il valore legale del titolo di studio.

Si è veramente così certi che togliendo alla laurea o al diploma la legittimità di certificare la correttezza e la bontà di un percorso formativo, e tutte le competenze acquisite al suo interno, possa condurre la filiera della formazione verso proposte didattiche maggiormente differenziate e di maggiore qualità?

Quanto sia valido il nostro “modo” di fare scuola e di fare università lo dimostrano le migliaia di giovani italiani che formiamo ogni anno e che ogni anno, a fronte di uno spazio che non c’è, sono costretti ad andare all’estero, ad arricchire economie straniere di paesi stranieri che non fanno altro che valorizzare le competenze di ce le ha, indipendentemente dall’origine e dalla provenienza.

Quanto sia sottofinanziato il nostro sistema “Istruzione” lo dimostrano gli anni di immobilismo, anni in cui quando si è pensato alla scuola e all’università lo si è fatto per prendere, per sottrarre e mai per dare, per aggiungere. Ecco, lasciando da parte tutto quel discorso che attiene all’aumento delle disuguaglianze sociali e alle difficoltà di accesso ad una istruzione di qualità che deriverebbero in maniera diretta dall’abolizione del valore legale del titolo, questo provvedimento potrebbe essere facilmente considerato dannoso e inopportuno perché inquadrabile come l’ennesima sottrazione perpetrata ai danni della formazione nel nostro Paese. Siamo un Paese in cui, quando si parla di scuola e università, si pensa ancora e solo a togliere, a sottrarre, ad abolire.

Il vero cambiamento epocale sarebbe stato aggiungere qualcosa a questa filiera così importante per lo sviluppo di una nazione, fare qualcosa di veramente diverso sarebbe stato investire in questo mondo e in chi ci lavora. E invece sembra che anche questa volta toccherà accontentarsi della legna che si ha. Speriamo non faccia troppo freddo.