Violenza: sono 427mila i minori che la vivono direttamente o non. Le mani sulle orecchie per non sentire quelle grida, quella voce serrata e aggressiva di un padre che toglie il respiro, porta l’affanno, fa salire l’angoscia e causa una forte stretta al petto: la paura dell’irrimediabile.

In Italia si stima che 427.000 minori, in soli cinque anni, abbiano vissuto la violenza tra le mura domestiche

Vive anche questo un bambino che subisce violenza assistita e che dalla sua stanzetta ascolta il papà offendere brutalmente e senza motivo la madre, romperle addosso piatti e bicchieri e infine percuoterla. Lei si giustifica, cerca di calmare il marito, vuole proteggere suo figlio, ma alla fine si piega. Tutto questo si può vivere visitando ‘La stanza di Alessandro’. Si tratta dell’istallazione immersiva realizzata a Roma da Save the Children, in mostra a Palazzo Merulana fino a sabato. E’ infatti partita la campagna di sensibilizzazione ‘Abbattiamo il muro del silenzio’. In Italia si stima che 427.000 minori, in soli cinque anni, abbiano vissuto la violenza tra le mura domestiche nei confronti delle loro mamme, nella quasi totalità dei casi compiute per mano dell’uomo.

Bambini e bambine che assistono direttamente ai maltrattamenti. O addirittura che ne prendono coscienza in maniera indiretta notando i lividi, le ferite o i cambiamenti di umore nella loro madre. Una piaga, quella della “violenza assistita”, ancora poco conosciuta e per lo più sommersa. Questo anche a causa della mancata consapevolezza, da parte degli adulti, della sua gravità. Non solo, ma anche a causa del troppo scarso sostegno che viene garantito alle mamme, le quali in molti casi subiscono in silenzio, senza denunciare. L’iniziativa dell’organizzazione internazionale punta a diffondere un nuovo dossier che contiene inedite elaborazioni realizzate dall’Istat per Save the Children con un’ampia analisi qualitativa, oltre che quantitativa, del fenomeno e delle esperienze di violenza subite dalle donne.

1 DONNA SU 10 TEME PER PROPRIA VITA E DI QUELLA DEL FIGLIO

Tra le donne che in Italia hanno subito violenza nella loro vita  più di 1 su 10 ha avuto paura che la propria vita o quella dei propri figli fosse in pericolo. In quasi la metà dei casi di violenza domestica (48,5%), inoltre, i figli hanno assistito direttamente ai maltrattamenti. Questa percentuale supera la soglia del 50% al Nord-Ovest, al Nord-Est e al Sud. In più di 1 caso su 10 (12,7%) le donne dichiarano che i propri bambini sono stati a loro volta vittime dirette dei soprusi per mano dei loro padri.

I dati sulle condanne con sentenza irrevocabile per maltrattamento in famiglia – più che raddoppiate negli ultimi 15 anni, passando dalle 1.320 nel 2000 alle 2.923 nel 2016 – evidenziano che nella quasi totalità dei casi (94%) i condannati sono uomini e che la fascia di eta’ maggiormente interessata è quella tra i 25 e i 54 anni, l’arco temporale nel quale solitamente si diventa padri o lo si è già.

PIÙ DI 1,4 MLN LE MAMME VITTIME DI VIOLENZA

Le mamme vittime di violenza domestica in Italia sono piu’ di 1,4 milioni. Solo una piccola parte – il 7% di coloro che hanno subito violenze ripetute in casa – è fortemente consapevole dei soprusi subiti. Tra queste piu’ di 1 su 3 e’ stata vittima dei maltrattamenti anche durante la gravidanza. Per contro, quasi 550.000 donne vittime di violenza domestica (33%) sono vittime silenti. Infatti, quasi mai denunciano o si rivolgono a medici. Emerge che nel 57% dei casi non considerano la violenza subita come un reato, ma solo come ‘qualcosa di sbagliato’.

Secondo Raffaela Milano, direttrice dei Programmi Italia-Europa di Save the Children “è indispensabile mettere in campo un sistema di protezione diffuso capillarmente che non lasci mai da sole le donne ad affrontare il complesso e doloroso percorso di liberazione dalla violenza domestica. Che si prenda cura immediatamente dei bambini fin dalle prime fasi in cui questa emerge, senza attendere la conclusione degli iter giudiziari. È poi fondamentale che tutti gli adulti che sono a contatto con i minori  assumano una responsabilità diretta. Il fine è di far emergere queste situazioni sommerse. Bisogna attrezzarsi per riconoscere tempestivamente ogni segnale di disagio, senza trascurarlo o minimizzarlo”, conclude Milano.

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