Marco Solfrini è volato via per l’ultima volta: addio Doctor J!

Sabato se ne è andato. Il mondo della Pallacanestro, compatto, in lacrime

 

Una mazzata tremenda, per il mondo della Pallacanestro. Marco Solfrini se ne è andato, colpito da un infarto. A nulla sono valsi i soccorsi per il malore che ha colpito l’atleta bresciano, impegnato a Padova per motivi di lavoro a seguire una fiera. E’ accaduto sabato e la notizia si è sparsa subito, vista la popolarità di quello che si era guadagnato, sui parquet di tutta Italia, il titolo di “Doctor J italiano”. Già, accostato a Julius Erving perché i suoi 196 centimetri sono stati un misto di potenza fisica, agilità e tecnica, tutto in un solo cestista.

Marco aveva 60 anni, portati benissimo, perché ha saputo vincere, con l’Italia degli Over 50, la medaglia d’oro ai Campionati del Mondo, e, sempre con gli azzurri, era arrivato a quella d’argento con gli Over 55. Senza dimenticare le 3 volte dicasi 3, in cui l’Italia Over 45 è salita sul tetto del Vecchio Continente, come ai bei tempi, dal momento che con la maglia azzurra nel 1980 Marco è stato Vice-Campione Olimpico dietro alla Russia padrona di casa. E 3 anni dopo si è laureato Campione d’Europa a Nantes nello stupendo gruppo guidato da Sandro Gamba, e comprendente Marzorati, Caglieris, Riva, Sacchetti, Meneghin, il suo compagno di squadra nel Bancoroma Gilardi, tra gli altri.

Marco Solfrini è sato uno che ha sempre fatto sport, che ha sempre dichiarato, anche in un’intervista che ora gira su Facebook, di volersi tenere in forma tramite l’attività sportiva.

Quel basket a cui ha dato tantissimo e da cui, con soddisfazione, ha detto di aver ricevuto, tantissimo. Marco ha fatto parte di quel meraviglioso Bancoroma che ha vinto lo scudetto, nel 1983, lo stesso anno dell’A.S. Roma nel Calcio. Quella compagine avrebbe conquistato, a Ginevra, l’Europa intera, contro un grandioso Barcellona. E la scalata sarebbe proseguita, con lo stesso gruppo, Wright, Gilardi, Solfrini, Polesello e Kea, Sbarra, Castellano, Scarnati e compagnia bella, arrivando in cima al mondo, con il trionfo a Buenos Aires, in Coppa Intercontinentale.

Per una volta, a Roma, il Basket aveva superato il Calcio, perché, purtroppo per i tantissimi sostenitori giallorossi, la squadra di Liedholm avrebbe perso, ai tiri di rigore, allo Stadio Olimpico, l’ultimo atto della Coppa dei Campioni contro il Liverpool.

E di quel Bancoroma Marco era quello che aggiungeva il tiro più complicato e la fantasia, al potere fisico a pochi metri dal tabellone e sotto le plance.

Marco si è fatto apprezzare per le qualità umane, come ci ha ricordato domenica su Radio Cusano Campus, il più grande radiocronista della RAI, Massimo Carboni: e in quegli anni ’80, in attesa delle partite, era più facile cementare il rapporto personale nell’attesa di recarsi al Palasport, tra giocatori e giornalisti.

E il buon Marco Solfrini ha seminato il senso della compostezza, dell’amicizia, che, dopo la dolorosissima notizia, si è materializzato nelle testimonianze di Flavio Carera, nelle poche ma spesse e profonde parole del suo allenatore al Bancoroma, Valerio Bianchini, e nei tantissimi messaggi ricevuti su quello che è stato il suo stesso profilo. Marco ha dimostrato cosa sia una testa pensante, fiera di avere una sua idea sui diversi temi della vita, con il rispetto per chi la pensasse in maniera differente.

Ha continuato a giocare fino alla fine a Pallacanestro nel Torneo del Centro Sportivo Italiano nel girone organizzato a Brescia e in Lombardia e di recente era stato anche all’appuntamento estivo di Montecatini.

Un peccato, aver perso una persona così. Perché dell’atleta si è sempre saputo molto, quasi tutto, compresa la sua apertura alare, delle braccia, più ampia di tutto il campionato italiano di Serei A. Dell’uomo Marco, buono, dal cuore generoso, persona per bene, lavoratore, impegnato a farsi tanti chilometri per lavoro e per l’eterna passione della Pallacanestro, ha conosciuto tanto chi lo ha rispettato.