“Siamo subissati di segnalazioni su questioni universitarie, soprattutto sui concorsi” attraverso i quali vengono assegnate cattedre e incarichi. Con questa denuncia di Raffaele Cantone, presidente dell’Anac, sul mondo accademico italiano si è scatenata nuovamente la bufera.  E Cantone prosegue, intervenendo a Firenze al convegno dei responsabili amministrativi delle università: “C’è un grande collegamento, enorme, tra fuga di cervelli e corruzione. Non voglio entrare nel merito, non ho la struttura né la competenza – ha aggiunto – ma la riforma Gelmini secondo me ha finito per creare più problemi di quanti ne abbia risolti. Per esempio, ha istituzionalizzato il sospetto: l’idea che non ci possano essere rapporti di parentela all’interno dello stesso dipartimento, il che ha portato a situazioni paradossali”.

Dalle parole del numero uno dell’anticorruzione alla ridda di analisi, commenti e disamine delle stesse è passata poco più di qualche ora, con continui riferimenti sulla stampa nazionale durante tutto l’arco della settimana successiva. In questo articolo vi presentiamo ciò che abbiamo raccolto dal nostro giro di opinioni in risposta alla denuncia di Raffaele Cantone, dal mancato stupore dei più all’incredulità di altri, dalla passiva accettazione della realtà dei fatti alla presentazione di modelli alternativi: un ex Rettore attualmente scrittore, un professore-senatore, un docente dell’Università N. Cusano e un Rettore attualmente in carica, ognuno di loro ha dato la sua personalissima opinione sulle frasi pronunciate da chi vigila sui corrotti.

Stefano Pivato (ex Rettore dell’Università di Urbino, autore del pamphlet di successo “Ai limiti della docenza”):  “Mi sono fatto qualche nemico all’interno dell’Università -ha affermato Pivato-. Ma era normale. Così come molti nemici, molti di più di me, se li è fatti Raffaele Cantone. C’è stata una battuta di Cantone che è stata fraintesa, anche dall’ex ministra Gelmini. Cantone si è chiesto: è mai possibile che serva una legge per regolare il nepotismo? Altrove, in Inghilterra, negli Usa e in Francia non si pone neanche il problema. Non esiste l’assunzione di parenti e nipoti. Qui da noi si deve regolare e viene continuamente scavalcata. Io dico sempre che il professore universitario è un camaleonte, ha una capacità incredibile di adattarsi alle situazione e di superare le regole. Questa è l’università, non deve sorprendere. L’università in Italia è una corporazione. Questo non avviene solo all’interno dell’università, ma all’università avviene meglio perchè dopo la chiesa l’università è l’istituzione più antica in Italia, quindi è un’istituzione perfetta anche nelle sue perversioni, per cui queste manovre riescono molto bene”.

“Ci sono docenti universitari che sono evasori morali -ha concluso Pivato-. C’è stato un allontanamento dall’etica in questi ultimi decenni all’interno dell’università. Si è badato più alle carriere che alla qualità della ricerca o dell’insegnamento. E qui è tornato ad imperare il nepotismo. Io ritengo che abolendo i concorsi si farebbero già dei passi in avanti, è una delle vie per risolvere il problema”.

Pietro Ichino (accademico, Senatore della Repubblica, giornalista, giuslavorista): “Quello dei concorsi universitari è un metodo di reclutamento che contribuisce alle non brillanti performance del nostro sistema universitario –ha affermato Ichino. Il concorso garantisce una regolarità formale, ma non garantisce in alcun modo che venga privilegiato il merito e la verità utilità didattica per la ricerca nell’università. La mia proposta è basata sul sistema chiamato income contingent loans, cioè prestiti da restituire solo se la scommessa risulterà vinta. Lo Stato dovrebbe offrire a tutti il prestito necessario: per esempio, 15.000 euro all’anno; col patto che questo prestito verrà restituito dall’interessato, a rate, soltanto se e a partire da quando incomincerà a guadagnare più di 24.000 euro. Questa meccanismo consente allo studente di compiere questa scommessa sulle proprie capacità e sulla buona istruzione in tutta serenità, perché se la scommessa andrà perduta e resterà disoccupato non sarà tenuto alla restituzione. E’ un meccanismo estremamente democratico che ha il pregio di responsabilizzare lo studente, ma responsabilizza fortemente anche l’università”.

“Altro risvolto molto rilevante è che in questo modo l’università che sceglie male i propri docenti, in modo clientelare e nepotistico, oltre a rischiare in futuro di dover pagare per i fallimenti, rischierà di fallire perché gli studenti non si iscriveranno vedendo che non funziona. Il problema è che proporre questo schema in Italia comporterebbe una rivoluzione molto profonda, radicale, che non è politicamente  proponibile dall’oggi al domani, però il progetto di Daniele Terlizzese esposto nel suo libro “Facoltà di scelta”, prevede che in Italia si apra questa possibilità per l’ateneo che intende accogliere questa sfida. A quel punto la facoltà può aumentare le tasse, è libera di scegliere i propri docenti e ricercatori e pagarli”.

Enrico Ferri (titolare delle cattedre di Storia dei paesi islamici e Filosofia del diritto presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università N. Cusano): “Nel panorama accademico italiano c’è molto da fare, la questione che mi preoccupa maggiormente è chi lo deve fare. Dovrebbe essere una spinta che viene dall’interno dell’università, perché pensare ad un ente terzo che lavori per moralizzare il nostro mondo mi risulta molto difficile. E come poi? A colpi di ricorsi, di leggi o attraverso l’individuazione di criteri di moralità, correttezza o affidabilità? Onestamente non ci credo. Se nel mondo accademico non tornerà ad esserci maggior attenzione, maggior serietà e maggior rispetto di regole anche relative al buon gusto, continueremo a trovare dipartimenti con i professori, le loro mogli e i loro figli che, sfacciatamente, si ergono anche ad autorità morali con la facoltà di fare la predica agli altri. Bisogna promuovere il cambiamento su più fronti: su quello interno dell’università ma anche sull’attenzione dell’opinione pubblica su questo tipo di meccanismi, per non parlare di un sistema che sanzioni e faccia scontare pratiche opache e volte alla proliferazioni di casi di nepotismo e clientelismo”.

Antonio Uricchio (Rettore dell’Università di Bari): “L’università di Bari è stata protagonista di alcuni casi di nepotismo ma credo che il lavoro svolto negli ultimi anni, anche con l’istituzione di un organismo in grado di far rispettare un codice etico, ci porti in una direzione completamente opposta rispetto al passato. Quando leggo sui giornali di corruzione accademica e vedo dati e numeri relativi al mio ateneo, posso assicurare che si tratta di situazioni che non appartengono alla nostra attualità, paghiamo una nomea che fatichiamo a scrollarci di dosso. Il sistema di reclutamento negli ultimi 10 anni ha seguito altre logiche che hanno portato ad un significativo ridimensionamento di questo fenomeno di cui parla Cantone. La nostra volontà è quella di percorrere strade che ci portino il più lontano possibile da quelle della corruzione e del clientelismo, forse il nostro codice etico non ha funzionato sempre al meglio ma si parla di un momento storico ben preciso, quando i dipartimenti sostituirono le facoltà e la loro scelta fu fatta su criteri non propriamente meritocratici. Però, lo ribadisco, questa è l’immagine sbiadita del nostro passato, non fa parte dell’attualità del nostro lavoro”.