La boxe come non l’avete mai vista, immaginata, letta. Forse neanche sognata. In Razza di Zingaro, edito da Chiarelettere, Dario Fo supera se stesso. Razza di Zingaro, libro di Dario Fo edito da Chiarelettere, racconta una storia che può e deve essere monito affinché certi orrori del passato non tornino a tormentare oggi la nostra realtà e la nostra coscienza.
Razza di Zingaro, libro di Dario Fo sulla boxe, edito da Chiarelettere. Sport e arte. Un binomio che quando riesce ad essere davvero tale diventa magia, poesia, storia. Leggenda da raccontare, come ha scelto di fare il premio Nobel Dario Fo, intervenuto su Radio Cusano Campus, l’emittente dell’Università Niccolò Cusano, per raccontare come è nato il suo ultimo lavoro “Razza di Zingaro”, edito da Chiarelettere, che racconta la storia di un pugile che ha fatto della boxe un vero e proprio stile di vita.
Parlando di Razza di Zingaro, libro sulla boxe edito da Chiarelettere, Dario Fo è chiaro. Specifica subito Dario Fo: “Tra teatro e boxe ci sono tantissime similitudini, c’è il palco, che è un po’ come il ring, c’è l’allenamento, il training di precisione, la dedizione, un pubblico e lo stare in scena, che metaforicamente parlando potrebbe essere paragonato a boxare con sé stessi, contro la propria ombra”.
Razza di Zingaro, edito da Chiarelettere, l’ultimo libro scritto da Dario Fo, è dedicato alla boxe, ad un atleta che ha fatto del pugilato uno stile di vita, una noble da onorare tanto dentro quanto fuori dal ring.  Razza di Zingaro, libro di Dario Fo edito da Chiarelettere, raccontare una storia precisa. Di Vita e di boxe. Razza di Zingaro, libro di Dario Fo edito da chiarelettere, è dedicato al pugile zingaro, Johann Trollman, nato nel 1907, con un titolo di campione negato dalla Germania nazista, morto nel 1943 in un campo di concentramento.
Si commuove, quasi, Dario Fo, quando parla di Razza di Zingaro, il suo libro sulla boxe edito da Chiarelettere che racconta la storia di Johann Trollman, fuoriclasse nella vita e nella boxe, pugile gentiluomo, che voleva sconfiggere ogni avversario senza mai salire sul ring con l’obiettivo di annientare un nemico, che faceva impazzire le folle, che piaceva tantissimo alle donne e che ha cercato di raccontare la propria cultura prima che la follia del nazionalsocialismo dilagasse nella Germania HItleriana. 
 
“Quella di questo pugile è una storia vera e soprattutto ancora troppo attuale, anche se si manifesta sotto diverse forme”, spiega Dario Fo. Che aggiunge, parlando di Razza di Zingaro, libro sulla boxe edito da Chiarelettere: “Una delle cose che deve fare chi scrive è raccontare storie che smuovono le coscienze di un popolo, contrastare e distruggere i tanti messaggi truffaldini, i falsi, le menzogne, le cose inventate”. 
 
Questo libro che parla di boxe, Razza di Zingaro, edito da Chiarelettere, per Dario Fo è stato una grande occasione. Da sempre Fo aveva il desiderio di approfondire il rapporto fra lo sport e l’arte, e la storia del giovane campione lo ha stregato, lo ha colpito, lo ha afferrato, regalandogli l’occasione per scoprire le “fratellanze” fra i due mondi. 
 
“Trollmann – racconta Dario Fo parlando di Razza di Zingaro, il suo testo edito da Chiarelettere – venne accusato di poca virilità sul ring, ma tale giudizio dei giudici tedeschi era reso miope, offuscato, dalle direttive del governo tedesco che voleva dagli atleti rigidità, staticità, inespressione nei tecnicismi della boxe: il governo tedesco voleva sul ring esemplari di razza tedesca pura, uniformati dalla razza ariana. La loro era ovviamente una follia”. 
 
Razza di Zingaro, testo sulla boxe edito da Chiarelettere. La descrizione di Dario Fo prosegue: “Lui era un pugile sui generis, sul ring cercava di divertirsi, di esibirsi, nel massimo rispetto delle regole del gioco della boxe, senza odio, senza cattiveria, senza voler andare allo scontro. A lui interessava lo sport, nel vero senso del termine. Per questo il pubblico impazziva per lui. Incantava attraverso la gestualità, la ritmica, la danza. E avendo capito che la sua danza era un modo per sconvolgere e prendere di sorpresa l’avversario, gliel’hanno vietata”:
 
Insomma, spiega Dario Fo, i gerarchi nazisti, “Non cercavano dei campioni, ma degli automi. Trollmann, invece, sul ring danzava. Aveva un’eleganza e una mobilità che solo Alì, anni dopo, riuscì a riproporre nel pugilato. La boxe di quegli anni, in Germania, come tutto il resto, veniva macchiata dalla follia nazista”.
Trollmann morirà da campione, Dario Fo lo celebra come meglio non si potrebbe: Racconta il premio Nobel: “Per proteggere la propria dignità, il proprio modo di essere diverso, nella vita come nel pugilato. Rinchiuso in un campo di prigionia, vessato, schernito e provato giorno e notte dai suoi carcerieri, decise di vincere l’ultimo match. Contro uno dei direttori del campo di concentramento in cui era rinchiuso. Tutti i suoi compagni gli avevano consigliato di lasciarsi battere. Di perdere. Perché se avesse vinto contro quell’ufficiale, gliel’avrebbero fatta pagare, Lui lo sapeva benissimo. Ma scelse comunque di andare incontro al proprio destino anche a scapito di sé stesso. Vincendo e tornando ad essere libero, almeno nell’animo, per qualche minuto. Pensò che era meglio essere morto che essere indegno. Venne ammazzato poche ore dopo, a bastonate”.
Nell’indifferenza e nel silenzio generale di una Germania che umiliò così uno dei propri talenti più fulgidi per poi chiedergli scusa anni dopo al fine di onorarne almeno la memoria.