“Muoiono solo gli stronzi” diceva Mario Monicelli. Non era un battuta. Come nei suoi film ti faceva ridere e poi ti apriva un mondo di malinconia derivante dalla rappresentazione brutale che dava della realtà. Per stronzi, intendeva coloro che in direzione ostinata e contraria, studiano, viaggiano, cercano di cambiare se stessi per cambiare il mondo e poi passano all’azione facendo volontariato. Amano i bei film, leggono, hanno un solo cellulare, ascoltano buona musica e poi decidono di andare a un concerto per condividere una gioia. Non è un caso, e non può esserlo quando si è attraversati da tanto dolore che la madre di Valeria Solesin, chiede, anzi  quasi implora, che il ricordo di sua figlia sia incentrato sulle sue capacità:“Valeria era una persona, una cittadina e una studiosa meravigliosa” dice la mamma nella sua composta, colta commozione e poi aggiunge “ci mancherà molto e credo, visto il percorso che stava facendo, che mancherà anche al nostro Paese per le doti che aveva“. Rileggetele con calma queste parole, senza emozioni, per capire bene. Mancherà al nostro paese Valeria, dice la mamma, in un impeto di generosità, non dice mi mancherà, ma collettivizza la perdita, per coerenza intellettuale,perché ha educato sua figlia a usare i suoi studi e la sua sensibilità al servizio degli altri e lei coerentemente si rivolge al paese e lo mette di fronte al suo vero lutto. Una di quelle ragazze che se fosse stata solo rapita sarebbe stata definita da certa stampa una volontaria imbecille. Questo bel paese delle bandiere sui profili, dei je suis, sarà consapevole di questa tragedia solo quando piangerà non solo i morti ma anche la morte di un percorso come quello di Valeria, illuminato dalla voglia di sapere e di capire, per non farsi le domande sbagliate dopo quello che è successo, se fosse rimasta viva.