Un viaggio all’interno del sistema universitario italiano per indagarne criticità e punti di forza, un percorso nel tortuoso mondo dell’alta formazione attraverso la voce dei protagonisti che lo vivono quotidianamente, dalle organizzazioni studentesche, ai ricercatori, passando per i docenti, per arrivare ai Rettori dei maggiori atenei italiani. In questo contesto, ai microfoni di Radio Cusano Campus, si inserisce la chiacchierata con il Magnifico Rettore dell’Università più grande d’Europa, il prof. Eugenio Gaudio, dallo scorso ottobre a capo de La Sapienza di Roma.

Prof. Gaudio, al momento della sua elezione ha delineato 3 punti fondamentali del suo rettorato: portare la Sapienza in Europa, semplificare il settore amministrativo interno e riqualificare didattica e strutture. A 8 mesi dall’inizio del suo mandato a che punto siamo?

“Abbiamo messo in campo un buon numero di iniziative. Per quanto riguardo la semplificazione abbiamo approvato tutta una serie di regolamenti, a partire da quello per la finanza e la contabilità per arrivare a quello relativo alla sicurezza, in attesa di approvazione da anni. Tutto questo con l’obbiettivo di semplificare e rendere più certa la vita all’interno dell’ateneo. Per ciò che riguarda l’internazionalizzazione abbiamo stretto più di 50 accordi a livello mondiale, siamo entrati a far parte dell’Accademia della Scienza Europea, siamo in attesa dell’elezione del presidente dell’associazione delle capitali europee, per la quale ci siamo candidati allo scopo di coordinare questa importante rete internazionale, abbiamo attivato tutte le procedure necessarie per aprire un nostro ufficio a Bruxelles. Parlando di diritto allo studio, questa sera inaugureremo le prime due biblioteche aperte h24, abbiamo aperto 5 musei all’esterno, l’orto botanico, il caffè letterario e stiamo riqualificando una serie di aule per renderle idonee alla didattica moderna. Quello che mi preme è non disporre di un esamificio ma di una struttura che lo studente può vivere quotidianamente”.

Tutto ciò di cui ci ha parlato finora rappresenta senza dubbio una forte inversione di tendenza rispetto al passato. Al momento della sua elezione che situazione ha trovato? Cosa l’ha colpita maggiormente, sia in positivo che in negativo?

“Io ho ricoperto per 4 anni il ruolo di preside di facoltà, per 11 anni quello di vice preside, se ne deduce che conoscevo abbastanza bene la realtà. Rispetto ai problemi di bilancio del passato, si perdevano 50 mln l’anno, l’aver trovato una situazione sana mi ha sicuramente favorito e consentito di muovermi su linee di crescita che vorrei portassero la Sapienza ad essere non solo il più grande ateneo d’Europa ma anche il più bello, anche perché collocato al centro della più bella città del mondo”.

Rettore Gaudio, lei è uno dei pochi che ha ridimensionato l’allarmismo che circola intorno al fenomeno della fuga dei cervelli sostenendo che è giusto che i nostri studenti partano per l’estero come è giusto attrarne altrettanti nei nostri atenei. Come può un ateneo divenire accattivante per uno studente straniero e, ancora, può farcela un singolo ateneo o bisogna passare per un cambiamento del sistema universitario nazionale?

“Io penso che si possa diventare attraenti per gli standard europei ma serve un cambio di marcia del paese, che investe poco in ricerca e nella stessa università. I paesi con cui ci confrontiamo investono il doppio e hanno il triplo degli addetti alla ricerca. Se devo attrarre studenti stranieri e non posso offrire loro un alloggio a prezzi calmierati, ecco che emerge un problema insormontabile: Roma e i suoi affitti folli. Chi ci viene più a studiare a Roma? Ci deve essere uno scambio biunivoco e questo può verificarsi valorizzando le nostre specificità. Come si può studiare diritto romano, arte barocca o restauro a Roma, non lo si può fare in nessun’altra parte del mondo”.

Parliamo della questione relativa all’ingresso alla facoltà di medicina. Lei come la vede?

“Come preside della facoltà di medicina, ho elaborato nell’arco degli anni alcuni principi che ritengo essenziali. Il numero programmato è e resta imprescindibile, intanto perché noi rilasciamo un titolo che sia valido a livello europeo dove si richiede la certificazione del numero chiuso. Col numero aperto si rischia di tornare agli anni ’70, dove ci si laureava senza frequentare e senza mai visitare un paziente. Come si fa un numero programmato? Il sistema attuale è insufficiente e secondo noi servono 3 componenti essenziali, come negli altri stati: un test psico-attitudinale, anche di autovalutazione, la valutazione ponderata di un percorso precedente e i quiz a scelta multipla che non siano meramente nozionistici. Per l’anno prossimo, sinceramente, non immagino nulla di diverso rispetto agli anni passati. Spero che la nostra proposta di cambiamento dell’attuale sistema, prima o poi, venga presa in considerazione”.

Perché c’è tutta questa opposizione al cambiamento. È una questione di costi o di volontà politica?

“Guardi io penso che ci sia una scarsa conoscenza del problema, bisogna informarsi su come operano anche gli altri paesi in merito. E poi ci sono vere e proprie spinte demagogiche che, ogni qual volta il governo cambia, si assestano sulla richiesta di abolizione del numero programmato che, ribadisco, significherebbe peggiorare di gran lunga la qualità dell’offerta formativa. Se il ministro dell’istruzione di turno riuscisse a rimanere in carica qualche anno forse potremmo arrivare a una riforma seria”.