Per fare gli auguri a Gigi Riva, che compie oggi settant’anni, torniamo indietro di un qualche decennio. Milano,  25 ottobre 1970 . Il Cagliari, con il tricolore cucito sul petto, fa visita in trasferta all’Inter.  Vince due a uno. Doppietta di Gigi Riva.  Il giorno dopo, sul Guerin Sportivo,  l’indimenticabile Gianni Brera  commenta: “Il Cagliari ha umiliato l’Inter a San Siro davanti a più di 70.000  spettatori: se li è meritati Riva che qui soprannominoRombo di Tuono”.

Quel giorno la figura di Gigi Riva, uno dei migliori calciatori italiani di tutti i tempi, campione d’Europa nel 1968 e vicecampione del Mondo nel 1970, attuale detentore del record di gol in nazionale con 35 reti,  diventa leggenda. Una leggenda a forma di isola.

Gigi Riva è il riscatto dei deboli sui forti. E’ Ettore che sconfigge Achille. Un indiano d’America che rimanda a casa i Cowboy.  Dentro i silenzi di quella durezza da anima ferita,  dentro quel sinistro che ha gonfiato reti e regalato sogni, c’è sempre stato un orfano dal destino fragile.

Un ragazzo che ha visto andarsene prestissimo sia la mamma che il papà. Che ha passato l’infanzia al collegio dei poveri, nella nebbia di Varese. Che ha fatto il meccanico a Leggiuno, mentre prendeva a calci un pallone sui campi del Laverno Mombello prima e del Legnano, in Serie C, poi.

Gigi Riva. E’ il ’63 quando arriva la chiamata del destino. Viaggio di sola andata, con fermata Cagliari. A mille chilometri da casa.  “A quel tempo, in Sardegna al massimo ci mandavano i Carabinieri e i militari in punizione”, ha detto una volta Riva, ridendo.

 

Sull’isola Gigi Riva diventa prima uomo e poi campione. Resta schivo, silenzioso. Un solitario che ha il timore dell’areo ma che ama l’alta velocità e il rombo dei motori. Che quando arrivano i soldi, la fama, i successi, spesso sale sulla sua Ferrari e fugge via, da un qualcosa che neanche lui conosce, in cerca di quel silenzio che riesce a trovare negli anfratti più intimi della Sardegna, in cui si resta con un’unica compagnia: il mare.

Con la maglia del Cagliari addosso, quasi fosse una seconda pelle, Gigi Riva ci resta quattordici stagioni. Gioca 315 partite, segna 165 gol. Vince uno Scudetto storico, nel 1970. Tre volte la Classifica dei Cannonieri del campionato italiano, altre tre quella della Coppa Italia.

Abbandonato il calcio giocato, Riva ha continuato a vivere in quella che ormai è la sua Cagliari, dedicandosi, tra le altre cose, a promuovere l’attività calcistica fra i giovani e fondando nel 1976 una scuola calcio (la prima in Sardegna), che porta il suo nome e che opera tuttora.

 

Nel 1990 ha iniziato la sua attività con la FIGC al seguito della Nazionale, prima come dirigente accompagnatore ed infine come team manager, carica che ha ricoperto fino a maggio 2013.

Gigi Riva. Erano gli anni, i suoi, in cui il nostro paese viaggiava verso un’epoca difficile. Nascevano i Beatles. Un litro di benzina sfiorava le 165 lire.   “Il calcio serviva già allora a tenere la gente davanti al televisore per non vedere il frigorifero vuoto, anche se oggi è peggio”, ripeteva spesso l’immortale Rombo di Tuono.

Che in campo masticava gomme americane, mentre fuori si accendeva spesso qualche sigaretta, ogni tanto beveva un whisky e giocava a carte.  Ancora auguri, Gigi Riva. Perchè è vero quello che dice da sempre: “Non ho avuto una grande infanzia, tutto parte da lì, il resto me lo sono creato da solo”.