“Approdo per noi naufraghi” di Elena Basile è uno di quei libri che si avvertono subito come necessari: un testo che non si limita a commentare l’attualità, ma la scarnifica, ne mostra i nervi scoperti e chiede al lettore di prendere posizione di fronte al tracollo morale dell’Occidente e allo smarrimento dell’Europa.
Fin dalle prime pagine emerge una voce lucida e disincantata, nutrita dall’esperienza diplomatica dell’autrice e da una solida cultura giuridica e geopolitica, che consente di leggere in continuità eventi spesso raccontati come slegati: le guerre in Medio Oriente, il caos libico, la crisi siriana, il conflitto ucraino, fino al genocidio di Gaza.

Il nucleo del libro è la denuncia di una lunga stagione di “hybris” statunitense, quella volontà di dominio unipolare che ha fatto delle guerre “umanitarie” uno strumento sistematico di politica estera, con la NATO trasformata da alleanza difensiva in braccio armato dell’egemonia americana.
Basile ricostruisce il passaggio da un ordine mondiale almeno formalmente multilaterale – con il ruolo delle Nazioni Unite e dell’OSCE – a un contesto in cui lo strumento militare e le sanzioni sostituiscono il diritto internazionale, lasciando agli organismi globali un ruolo sempre più marginale.
In questo quadro, l’Europa non appare come un soggetto politico maturo, ma come una sorta di “naufraga” trascinata dalla corrente, incapace di definire una propria autonomia strategica e, anzi, pronta a sacrificare principi e interessi sull’altare della fedeltà atlantica.
L’immagine dell’Europa come “naufraga” è una delle chiavi più potenti del libro. Basile descrive un continente che ha smarrito il proprio orizzonte etico.
Un’Unione Europea che si commuove a geometria variabile, che si indigna di fronte ad alcuni crimini e ne rimuove altri, fino a rendersi complice – nel silenzio o nel sostegno attivo – del massacro di Gaza e di una guerra con una potenza nucleare come la Russia.
In questo disvelamento, ciò che colpisce non è solo la critica politica, ma la diagnosi di una trasformazione antropologica delle élite europee: classi dirigenti che hanno interiorizzato il paradigma della guerra permanente, dell’economia finanziaria sganciata dalla democrazia, della propaganda come linguaggio naturale del potere.
Una parte centrale del libro è dedicata proprio alla struttura dell’Unione Europea e dei suoi Trattati, da Maastricht a Lisbona.
L’autrice mostra come nel DNA dell’UE sia stato inciso un impianto neoliberista che sottrae margini alla politica democratica e rende quasi impossibile la costruzione di una vera Europa sociale e federale.
L’Unione che ne deriva è quella che conosciamo: governata da una tecnocrazia che non risponde direttamente ai popoli, permeabile alle lobby finanziarie, pronta a imporre austerità e vincoli a senso unico, mentre rivendica una legittimità “valoriale” sempre più svuotata.
Questa analisi istituzionale, pur rigorosa, non appesantisce la lettura, perché Basile riesce a intrecciarla con esempi concreti, riferimenti all’attualità, momenti in cui il lettore riconosce, quasi in tempo reale, la traduzione pratica dei meccanismi descritti.
In parallelo, il libro sviluppa una critica serrata al doppio standard occidentale. Le immagini dei parlamenti europei in standing ovation per Netanyahu, mentre a Gaza si consuma una tragedia senza precedenti, diventano il simbolo di un Occidente che ha perso il senso del limite e della vergogna.
Allo stesso modo, la demonizzazione personalizzata di Putin viene letta come strumento per evitare di discutere seriamente le responsabilità sistemiche nell’espansione della NATO e nello smantellamento progressivo degli equilibri di sicurezza europei.
Non manca, in questo quadro, la denuncia della crescente intolleranza verso il dissenso: dalla cancel culture all’ostracismo nei confronti di studiosi e analisti indipendenti, passando per una stampa spesso allineata, il libro mostra come la libertà di espressione in Occidente sia sempre più formale e sempre meno sostanziale.
Eppure “Approdo per noi naufraghi” non si chiude nella semplice lamentazione. C’è un filo di speranza, ancorato all’emergere di un mondo multipolare, con i BRICS come laboratorio di un ordine internazionale alternativo all’arbitrio unipolare, e alla vitalità di quelle minoranze sociali e politiche che non si riconoscono nelle “due destre” oggi egemoni in Europa.
Basile si rivolge esplicitamente alla generazione Z che scende in piazza contro il genocidio, a chi sceglie il non voto per rifiuto dell’offerta politica esistente, alle correnti critiche nel campo pacifista, invitando a trasformare questo malessere diffuso in progetto politico, in rappresentanza organizzata del dissenso.
In controluce, affiora la domanda decisiva: è ancora possibile una politica che faccia della pace e del rispetto delle differenze il proprio fondamento, anziché subirli come eccezione o concessione?
La forza del libro sta proprio nella capacità di tenere insieme rigore analitico e tensione etica. Non è un testo “neutro”, e non pretende di esserlo: è un atto d’accusa contro un sistema di potere che ha portato il mondo sull’orlo della catastrofe nucleare, climatica e democratica, ma è anche un invito a ripensare il progetto europeo e occidentale dall’interno, smettendo di confondere l’Occidente con la democrazia, l’atlantismo con la pace, il pensiero unico con la verità.
In “Approdo per noi naufraghi” non colpisce solo la potenza dell’analisi geopolitica, ma anche il profilo umano e intellettuale di Elena Basile, che attraversa ogni pagina del libro come una presenza forte e intransigente.
L’autrice non parla da commentatrice allineata, ma da diplomatica che ha scelto di pagare il prezzo della propria indipendenza, rifiutando di piegarsi alle narrazioni imposte e alle convenienze di carriera.
In un’epoca in cui il dissenso viene facilmente delegittimato come “putinismo”, “complottismo” o “anti-occidentalismo”, Basile rivendica il diritto – e il dovere – di guardare i fatti nella loro nuda evidenza, senza sconti per nessuno.
Il coraggio di Basile sta innanzitutto nella coerenza: le posizioni che difende nel libro sono le stesse che ha sostenuto pubblicamente, anche quando ciò ha significato scontrarsi con il mainstream mediatico e politico, essere emarginata dai salotti televisivi, subire attacchi personali e professionali.
Non si tratta di un dissenso opportunistico, modulato sul vento del momento, ma di una linea chiara che mette al centro la legalità internazionale, la pace come condizione non negoziabile e il rifiuto di ogni doppio standard, sia che riguardi la Russia, sia che riguardi Israele, gli Stati Uniti o l’Unione Europea.
In questo senso, il libro è anche la testimonianza di una voce che non ha accettato di essere normalizzata. Pur sapendo di muoversi contro corrente, Basile sceglie di non annacquare le proprie tesi, di non piegare il linguaggio per renderlo più digeribile ai circuiti mediatici dominanti, di non attenuare la durezza delle proprie accuse di fronte al genocidio a Gaza, alla criminalizzazione del dialogo con Mosca, alla sudditanza europea verso la NATO.
Proprio questa intransigenza le ha attirato forme di censura – dalla riduzione degli spazi di parola alla sistematica marginalizzazione – che il libro trasforma in un atto di resistenza culturale e politica.
L’elogio che “Approdo per noi naufraghi” merita, quindi, non è solo quello riservato a un saggio lucido e documentato, ma anche a un gesto di schiena dritta.
Basile non cerca l’ambiguità rassicurante, non gioca di rimessa, non si rifugia nel linguaggio neutro con cui spesso il potere copre la propria responsabilità: sceglie la chiarezza, la nominazione precisa dei fatti, la ricostruzione puntuale delle responsabilità occidentali nelle guerre e nelle crisi degli ultimi decenni.
In un clima in cui la verità viene spesso piegata alla ragion di Stato o agli interessi dei blocchi di potere, questa fedeltà ostinata ai fatti e alla propria coscienza fa del libro non solo un’analisi da leggere, ma un esempio da seguire.
Per chi non si accontenta della narrazione dominante su Ucraina, Gaza, NATO e Unione Europea, “Approdo per noi naufraghi” rappresenta un approdo vero: un luogo in cui fermarsi, guardare il disastro, e cominciare a immaginare un’altra rotta.